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Self-Publishing vs. editoria a pagamento. La non-innocente confusione.

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
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Su twitter e sui blog si fa un gran parlare di self-publishing. I tempi cominciano a essere maturi infatti per un mercato basato sulla pubblicazione di un libro gestita completamente dall’autore, senza il supporto di una casa editrice.

A prescindere che io sia d’accordo o meno (ancora non ho un’opinione definitiva su questo), c’è un fatto che comincia a toccare i miei nervi. E cioè la non-innocente confusione tra autore indie (autopubblicato) e l’autore che pubblica per una casa editrice a pagamento.

Mi sono deciso (con qualche timore lo ammetto) a scrivere un articolo unico un po’ lungo, in cui ho la presunzione di (provare a) spiegare cos’è l’editoria a pagamento, cos’è il selfpublishing, e soprattutto a mettere in evidenza quali sono le differenze.

1. L’editoria a pagamento è una truffa

La piaga dell’editoria a pagamento (EAP) è nota e, per una volta, non è una caratteristica tutta italiana. In inglese, per esempio, si definisce, in maniera molto efficace, come Vanity Press. Di EAP se ne è parlato molto nelle ultime settimane, anche grazie a Loredana Lipperini, che ha (ri)pubblicato una lista di editori a pagamento stilata da Writer’s Dream (questi articoli, qui e qui, spiegano i dettagli).

Cosa vuol dire EAP, editore a pagamento?

Vuol dire che un libro viene pubblicato con un contributo in denaro dell’autore, che può essere anche versato in forma di copie comprate. Cioè, io ti do xx migliaia di euro, o mi compro xx centinaia di copie e tu, editore, me lo pubblichi.

Di truffe in questa pratica ne vedo tante: la truffa dell’autore nei confronti del lettore che compra un libro, molto probabilmente, di bassissima qualità; la truffa dell’autore nei confronti di altri autori che scelgono la strada etica della pubblicazione (in cui è l’editore a pagare lo scrittore, non viceversa); la truffa dell’editore che promette all’autore, in alcuni casi, giovane e ingenuo, un editing, una distribuzione capillare, una promozione sui giornali, salvo poi ritrovarsi, l’autore giovane e ingenuo, o con un portafogli più leggero di parecchi euro o con una casa piena di libri che non hanno nessun valore, se non affettivo.

Lo ammetto, è capitato anche a me, tanti anni fa, quando ventenne ero già in giro a cercare case editrici. All’epoca avevo una primissima immatura versione di Zagreb (che aveva anche un altro titolo) e di altri due racconti lunghi. Capii che l’editoria a pagamento doveva essere una truffa, quando l’editore mi disse: “Scegli tu quale libro vuoi pubblicare, tutti e tre vanno bene così come sono”.

Pensai che o io ero un genio della letteratura mondiale o lui era un truffatore.

Ho creduto che la seconda opzione fosse più plausibile.

2. Gli autori Indie sono imprenditori

“Self-publishing is the publication of any book or other media by the author of the work, without the involvement of an established third-party publisher”, dice wikipedia in inglese.

Mentre in Italia l’autoedizione non è ancora decollata, negli USA cominciano a esserci diversi esempi di autori “indie” che hanno sfondato il muro del milione di copie.

In cerca di una definizione puntuale di self-publishing, ho scovato un articolo di The Creative Penn, dal titolo Self-Publishing And The Definition Of An Indie Author.

Joanna Penn (scontato ma carino il titolo del blog) riassume il concetto di autore indie in quattro punti:

a) Indie significa “indipendente”: l’autore indie non si avvale di nessun editore. Semplice, ma non scontato.

b) Gli autori Indie sono imprenditori: gli autori autopubblicati oltre ad occuparsi del lavoro creativo, che è solo il principio, si occupano di marketing, vendite, avendo a che fare con assegni, pagamenti, entrate e uscite; sono cioè dei “micro-entrepreneurs”.

c) Gli autori Indie si avvalgono di professionisti dell’editoria. L’autore autopubblicato non è uno che crede di essere un genio, che non ha bisogno di editing o di altre professionalità. Anzi, proprio perché deve sostituirsi alla casa editrice, lavora con editor professionisti, grafici per ideare la copertina e tecnici per l’impaginazione professionale della sua opera.

d) Gli autori Indie sono interessati all’editoria tradizionale: Joanna Penn si sente in dovere di specificare che “Most indies don’t hate mainstream publishing either, despite the noisy few who make it look like we do”.

3. Editoria a pagamento vs. Self-publishing

A questo punto, le differenze sono ovvie. Un autore che sceglie un editore a pagamento gioca sporco: paga per essere pubblicato e arriva in libreria dichiarandosi scrittore, come se un uomo che va a prostitute ogni sera parlando con gli amici dice di essere un Don Giovanni.

Uno scrittore autopubblicato si mette in gioco: deve rendere noto per forza di cose di non avere editore, utilizza a pieno i nuovi canali di promozione, social network e blogging per esempio, e prova a diffondere il suo libro, soprattutto ora che il digitale comincia ad avere un suo mercato.

La prima pratica è una truffa, la seconda ha una sua dignità e rappresenta una ghiotta opportunità per gli scrittori.

Il punto di questo mio lungo articolo arriva qui: temo il proliferare, come funghi nel sottobosco, di loschi figuri che, fiutato l’affare, si propongono all’autore indie come guide a pagamento nel cammino per l’autopubblicazione, promuovendo così un’evoluzione del virus dell’editoria a pagamento verso una forma ancora più maligna e subdola.

È allora importante che si parli di self-publishing e si faccia capire al lettore che un sano self-publishing non significa automaticamente “libro di bassa qualità”. Per orientarsi in questo nuovo mondo, nuovissimo in Italia, ho trovato molto utile sbirciare tra le pagine di Self Publishing Lab, un luogo virtuale dove “incontrare altri che hanno già iniziato a pubblicare in questo modo”, con lo scopo finale di “mettere in comunicazione l’autore con i propri lettori”.

È un’editoria che sta cambiando rapidamente sotto i nostri occhi. E rapidamente evolvono i fastidiosi batteri e i pericolosi virus che in essa si vivono. Stiamo attenti, usiamo le dovute precauzioni, e godiamoci questo momento davvero entusiasmante.

Nota: mentre preparavo questo articolo, è stato pubblicato uno dal titolo Vanity press: pubblico, dunque sono, sul Fatto Quotidiano. Che, onestamente, trovo fuorviante.

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