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Esiste una terra magica, dove le montagne hanno nascosto per secoli vallate inospitali, pareti rocciose a picco sul mare, cenge sospese tra graniti millenari, dove il vento ha strappato o storpiato qualsiasi pianta. Qui dei passaggi creati in gran parte dalla transumanze delle capre, oppure dal cammino di uomini solitari. L'unione dei vari sentieri, come in un gioco di enigmistica, ha portato alla realizzazione di uno dei trekking più belli ed estremi che abbia effettuato.
Si cammina per cinque giorni, con zaino affardellato, scorta di acqua e viveri, corde e accessori vari, sacco a pelo e quant'altro possa occorrere per cavarsela da soli.
La partenza è un inerpicarsi per massi granitici, qualche strada usata dai pastori locali, con il mare che appare e scompare come un bambino che gioca a nascondersi. La quota di camminamento è bassa, ma pian piano si arriva ai primi passaggi tecnici, massima attenzione alle pietraie oppure ai punti di impluvio. Il mare qui regna sovrano, con quel blu elettrico che solo la natura ha saputo creare, misto al sole autunnale ed alla terra selvaggia in tutte le sue cromie. Qui mi confronto con i quattro elementi della natura, assecondo la loro forza con il rispetto e la curiosità dell'apprendista.
Si cammina per tutto il giorno, fotografo ed annoto sul mio taccuino, osservo animali soli o in piccoli gruppi. Nel sottobosco si vede l'opera di scavo notturna lasciata dai conghiali. Il silenzio è apparente, la calma pure. Tutt'intorno a noi è un esplodere di vita, vita pura priva d'ipocrisia, vita fatta di necessità e certezza.
La sera ci si ferma, si individua un riparo e si raccoglie la legna per il fuoco prima del buio, si preparano i giacigli. La luce cede con dolcezza il passo alla notte, il mondo del sole sparisce. Il mondo del razionale e del lavoro, in cui si parla di genti e delle loro vite, in cui si mangia lo stretto necessario e si suda tanto, si dilegua per far spazio al buio.
Entriamo nel mondo della luna, delle fate con le loro magie. Il mondo irrazionale dei sogni, si parla delle genti delle loro storie e paure, si mangiano cibi cotti con il fuoco per fare baldoria, si beve il vino inebriante.
Quindi la notte delle stelle, in cui ci si abbandona al sonno e le fatiche della giornata si scaricano sulla nuda terra che ci ha portato sofferenza per il tanto camminare. Il sonno diventa profondo, quasi una morte apparente in cui solo il pensiero rimane in opera, giacché a lui è devoluto il compito di “riaccendere il corpo”.
E così, come dopo ogni sonno, il sole riappare ad indicarci la via e la vita. Così ci si sveglia pronti a ricominciare. Prima di andare via si riporta tutto allo stato in cui stava prima del nostro passaggio, rispettando la natura con lo stesso impegno con cui rispettiamo noi stessi.
Una colazione energetica, acqua, zuccheri, frutta secca. Poi in marcia, sui sentieri di “selvaggio blu” verso la nuova giornata di trek tra rocce, macchia mediterranea, capre solitarie e qualche falchetto o astore in cerca di prede. Noi stessi a contatto con la natura cerchiamo quello che potrà offrirci per e nostri bisogni: acqua di sorgente, bacche o frutti spontanei.
In alcuni tratti il passaggio è semplice, in altri dobbiamo attrezzare le vie su rocce a strapiombo, sfruttando le corde per quei punti critici. Altre volte si scende rapidamente in corda doppia quasi a bagnarsi le scarpe con le gocce d'acqua create dalle onde che si infrangono sugli scogli.
In cinque giorni non incontriamo nessuno, talvolta sentiamo qualche voce lontana, gente che rincorre il proprio bestiame, oppure gente che come noi abbandona le strade asfaltate per le pietre impolverate.
La simbiosi con la natura è totale, l'uomo è di nuovo ospite e non padrone, la fatica è fisica e quasi mai mentale. I vestiti puzzano di sudore, la pelle è rossa per il sole e per la polvere. Ma la libertà di questi luoghi non ha eguali.
Gli ultimi passaggi in corda sono fantastici, ma anche tristi se si pensa che ci portano verso il mondo asfaltato.
La strada ridiventa larga e pianeggiante, le voci ora sono accompagnate da corpi umani, gli animali ora hanno un guinzaglio, il cibo è abbondante, l'acqua scorre inutilmente da rubinetti aperti.
Il fuoco accende sigarette che poi cadono per terra, bruciando steppe e boschi.
Ora sto in una sedia, di fronte ad un computer a digitare di emozioni e sensazioni di un trekking di qualche anno fa, e si riaccendono dei ricordi che la mente rivive con malinconia.
Le mie emozioni forti sono vivere quotidiano per tante persone della montagna, il mio cercare l'estremo è l'antitesi del cercare la tranquillità di tanti altri.
Scrivo nel mio computer in una stanza calda, pubblico in rete, fuori continua a piovere e soffia il maestrale.
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