Sembra ieri e invece sono passati 20 anni. Quasi 20 anni da quelle due date maledette, il 23 maggio e il 19 luglio 1992. Sembra ieri … non c’era internet allora, né questo frenetico e convulso scambio incessante di informazioni che rende tutto noto e subito. Non c’erano nemmeno i cellulari e gli sms. Eppure la notizia delle due esplosioni odiose si diffuse velocemente.
La prima esplosione, quella di Capaci , avvenne in un tardo pomeriggio di una tarda primavera quando qui al sud si sentiva già profumo di estate e di vacanze. L’attentatuni, come lo chiamarono poi i pentiti, si prese la vita del giudice Giovanni Falcone , di sua moglie Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro . E’ importantissimo ricordare i nomi, tutti i nomi . Provate a cercare in rete le foto: ragazzi sorridenti, servitori dello Stato, morti per lo Stato. Strazio indicibile.
A me dell’attentato, lo disse mio fratello e non so come lo avesse saputo visto che era in spiaggia a giocare a pallone con altri ragazzini come lui. Me li ricordo arrivare da mare e lui che gridava rivolto a me e a mia madre che eravamo sul balcone “i bastardi hanno ammazzato Falcone”.
Era questa la grandezza di quel giudice serio, rigoroso, poco incline alla chiacchiera inutile: nonostante il suo aplomb arrivava ai cuori della gente. Soprattutto ai cuori dei giovani e dei meridionali. Dava speranza il suo rigore. E le meschinità sul suo conto non scalfivano la percezione che la gente comune aveva del suo onore e del suo coraggio.
Uomo coraggioso che, come disse una volta, misurava il coraggio non con lo sprezzo del pericolo (quella è incoscienza, disse) ma con la consapevolezza del rischio abbinata al senso di responsabilità.
L’attentatuni scosse Palermo, il sud e l’Italia intera. Un fervore dimenticato e addormentato aprì i cuori e turbò le coscienze . Ci si rese conto, improvvisamente, che lo Stato era a rischio e i funerali del giudice , di sua moglie e dei tre agenti della scorta furono l’apoteosi di una coscienza civile risvegliata dal torpore. E come dimenticare le lacrime e le grida di Rosaria Schifani, giovane vedova di Vito, durante la cerimonia? “Vi perdono, ma inginocchiatevi, pentitevi…” e poi rivolta al sacerdote alle sue spalle un “ma loro non cambiano…”. Dove è ora Rosaria? Che ne è stato della sua vita?
E poi furono mesi strani. Mesi in cui c’era già un’altra vittima predestinata, un altro martire annunciato. C’era un morto che camminava come Paolo Borsellino si autodefinì nella sua ultima intervista, 20 giorni prima di morire (lo intervistò Lamberto Sposini, per il TG5 di Mentana, una vita fa).
E così fu. L’altra esplosione e gli altri morti. Oltre a Borsellino, Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, altri ragazzi sorridenti, altro strazio indicibile.
Venti anni sono passati e sembra ieri. Quelli della mia generazione che avevano più o meno 20 anni allora (più o meno 40 ora) e che non hanno dimenticato le sensazioni di allora forse sono gente migliore per merito di quei morti. Mi piace pensarlo. Mi piace pensare che, nonostante i nidi di vipere, i silenzi, le mezze verità, non siano morti invano.
«… Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere … » G. Falcone, Cose di Cosa Nostra