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Sembrava che dormisse

Da Pietroinvernizzi

Copertina del numero di settembre di Pesca in mare del 1997Un giorno di settembre del 1997 sono tornato a casa col mio bel numero di Pesca in mare appena comprato e ho iniziato a leggere avidamente gli articoli che, come al solito, mi facevano sognare pesci e posti fantastici che speravo, prima o poi, di catturare e visitare. Finiti i pezzi forti ho scartabellato svogliatamente i contenuti di contorno, che raramente sono all’altezza dei primi. Poi mi è caduto l’occhio su una lettera alla redazione decisamente più lunga del solito. L’ho letta d’un fiato. Poi l’ho riletta. E molte altre volte nei giorni successivi. A distanza di quindici anni mi capita ogni tanto di ripensarci ancora…
Desidero raccontarvi un’avventura che ho vissuto in prima persona. Spero che la morale sia di grande insegnamento ai giovani e, perché no, anche ai meno giovani che si sentono, per quanto riguarda il nostro sport, degli “arrivati”. Era una di quelle giornate di settembre che più gradivo per uscire in mare, specie per la traina a fondo. Sole splendente, leggera brezza di grecale, regime pieno di alta pressione. La barca, andando verso il largo, scivolava leggera, con i suoi buoni tre nodi, sulla calma, quasi speculare, superficie del mare.

Rilassato guardavo verso nord-est la lontana costa calabra che si assottigliava sempre più tingendosi di un violetto sempre più tenue tanto da confondersi, infine, col mare. Trenta gradi più a Ponente le isole Eolie si stagliavano nettamente, allineate come baluardi, sull’orizzonte. L’aria cristallina ne faceva vedere anche i particolari; dal biancheggiare della ripida sciara della pomice di Lipari, ai faraglioni di Panarea al più lontano Strombolicchio che si ergeva, quasi provocatorio nella sua esile silhouette, in raffronto alla possente struttura del sempre incappucciato e brontolante Stromboli. Pur vedendolo quasi giornalmente ero sempre affascinato da quello spettacolo di rara bellezza; ogni stagione, ogni giorno e ogni ora del giorno il tutto assumeva, sempre, tinte, sfumature, contorni e profondità diverse. Intanto, finalmente cosciente che ero in mare per pescare e non per bearmi soltanto delle bellezze della natura, mi ero portato vicino ad un’altra imbarcazione per “spiare”, “lo fanno tutti”  che tipo di pesca facesse l’unica persona che era a bordo. Andatura lenta, pescatore accovacciato a poppa sulla barra del timone, capo chino, immobile tanto da sembrare dormisse.

Pensai a una filosa; parecchi dei locali si adattavano a questo tipo di pesca, attingendo dai numerosi banchi di alici che sostavano in quella zona, che io, però, sempre in cerca di emozioni più forti, rifiutavo. Manovrai in modo da defilarlo a poppa, a distanza di sicurezza da un eventuale incoccio. Poverino, si accontentavano di poco, mentre io, se prendevo un pesce, sarebbe stato un signor dentice o cernia. Lo guardai ancora con una certa commiserazione e proseguii il mio lungo girovagare nella rotta ormai collaudata. Decisi di restare in zona ancora un’oretta e poi a casa. Intanto, poiché ero giunto al limite, là dove il fondale si alzava bruscamente, effettuai un’ampia virata a 180°.

Completata l’inversione ecco di nuovo apparire, di prora, a circa 200 metri “l’addormentato pescatore”. Era sveglio adesso; tanto sveglio che sembrava fosse stato punto da una vespa. Saltellava da poppa a centro barca, si sbracciava, invertiva la rotta. Insomma, non stava un attimo fermo, era indaffaratissimo. Cosa poteva aver preso? Non certo una lenzata con la filosa! Non si sarebbe scalmanato tanto! Non ebbi esitazione; questa la volevo vedere tutta! Mi misi in rotta su un’ampia circonferenza con al centro “lui”. Istintivamente accesi una sigaretta e, attentissimo a non perdere una battuta delle mosse del nostro amico, incominciai a godermi, affascinato, un fuori programma che si preannunciava molto interessante.

Ero, adesso, a circa 80 metri di distanza e non volevo avvicinarmi di più per non creare problemi e fare, tra l’altro, la figura dello sprovveduto. Del resto lo vedevo benissimo. Era un uomo anziano, magrissimo, scuro come un marocchino, in canottiera e pantaloncino e con due gambette, tipo stuzzicadenti, che mi ricordarono quelle stilizzate disegnate dai bambini. Di forza, però, ne doveva avere ancora parecchia. Teneva i piedi puntellati nel fasciame e tirava lentamente, ma con energia, il grosso filo di nylon che, per effetto solare, sembrava corposo come una cima da ormeggio.

Altrochè filosa ed alici! Di tanto in tanto si fermava per pigliare fiato e poi ricominciava, inesorabile, recupero. Talvolta si chinava, tanto da immergere le mani in acqua; poi si tirava su, lavorando di schiena, strappando al mare una bracciata di filo dopo l’altra. Mentre compivo giri su giri rubai un attimo all’interessantissimo “giallo del mare” per guardare l’ora; erano già trascorsi più di quaranta minuti da quando il nostro arzillo vecchietto aveva iniziato il combattimento contro il “Signor X”. Ormai doveva essere vicino alla conclusione; in quella zona non avrebbe dovuto avere più di cinquanta metri di lenza in mare.

Infatti, poco dopo, gli vidi impugnare il raffio mentre, proprio a poppa, si vedeva un violento schiumeggiare. Un colpo deciso e mentre l’acqua, stavolta, schizzava come aggredita da un turbine, tanto da avvolgere tutta l’intera zona poppiera, vidi affiorare qualcosa di argenteo. Una testa, forse più grande di quella del vecchio, seguita da un corpo affusolato che ancora si dibatteva freneticamente, restio ad uscire dal suo elemento. Il vecchio, visibilmente provato, issava lentamente ma con costanza ed il pesce che veniva man mano fuori sembrava non avesse mai fine.

Ormai lo aveva tirato fuori per tutta la lunghezza consentitagli dalle sue braccia che, adesso, erano raccolte all’altezza delle spalle. Nell’impossibilità di sollevarlo ancora si buttò all’indietro trascinando, così, finalmente totalmente fuori, una ricciola che per un attimo riuscii a vedere nella sua splendida completezza e inusitata mole. Ambedue, l’uomo sotto e la ricciola sopra, sparirono alla mia vista, poiché entrambi, forse addirittura abbracciati, andarono a finire sul pagliolato, esausti, spossati dalla lunga lotta che li aveva visti contrapposti nei loro intenti. Ripresi fiato. Avevo vissuto l’ultima parte della vicenda senza respiro, tifando per il meraviglioso vecchietto che era riuscito a catturare un esemplare di ricciola forse più grosso di lui. Poco dopo, mentre riprendevo la rotta per il rientro, eccolo riapparire; lentamente si accovacciava a poppa, sulla barra del timone, capo chino, immobile tanto da sembrare che dormisse.

Col. Guido Cardia

Lettera alla redazione di Pesca in Mare



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