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Seminario Estivo sul cap. XVII Bhagavadgita (2^ parte)

Da Graziano

Il XVII capitolo della Bhagavadgita fornisce delle categorie per interpretare ed orientarsi nella realtà quotidiana, ma negli ultimi sei ci avvisa che un’altra dimensione dovrebbe essere il fine cui indirizzare le attività descritte nei ventidue shloka precedenti.

Partiamo dunque dall’immanente che è più semplice, così come fa Krishna con Arjuna.

Seminario Estivo sul cap. XVII Bhagavadgita (2^ parte)

Se prendessimo tre colori e li mescolassimo tra loro in diverse proporzioni, potremmo ottenere un numero infinito di combinazioni, esattamente come la natura intima degli esseri umani. E’ questa natura che determina i desideri, i pensieri e le azioni. Ritengo non sia casuale che i tre guna vengano rappresentati con gli stessi colori che nell’alchimia occidentale rappresentavano tre stati della materia e dello spirito: tamas-nero-nigredo, rajas-rosso- rubedo, sattva-bianco-albedo. Nella visione vedica l’uomo nasce come nasce a causa del suo comportamento nelle vite precedenti, le quali sviluppano gusti e tendenze particolari che non svaniscono col passaggio della morte: nell’algebra del karma si tratta di abbandonare il nero della staticità ed il rosso della passione per collocarsi nella luce bianca della virtù. Non è diversa l’ascesa alchemica dalla pesantezza della nigredo al chiarore di albedo (l’alchimia non è stata tanto l’antenata della chimica, quanto una sofisticata disciplina di elevazione spirituale).

Alla nascita l’uomo non è una tabula rasa, nel suo dna psicologico sono già inscritte le modalità di reazione al mondo esterno che potranno essere automatiche o consapevolmente disciplinate. La natura particolare di ognuno indirizza la persona verso certe attività piuttosto che altre; ecco allora che vediamo uomini che adorano altri uomini, quelli che seguono la logica del branco senza farsi tante domande e altri ancora che piuttosto di vivere come automi preferirebbero morire in croce. Se, come afferma la Kata Upanishad, l’essere umano non ha, ma é desiderio, allora capiamo che il condizionamento e la possibilità di cambiamento avviene proprio a quel livello costitutivo della persona! I desideri non sono casuali, ognuno desidera ciò che più gli si confà, ma a differenza dell’animale, l’umano non è guidato solo dall’istinto.

Non che l’essere umano non abbia forti tendenze coatte, ma a differenza dell’animale noi dobbiamo apprendere una visione del mondo in cui inserire queste pulsioni. Tant’è che lo stesso Freud, il quale all’inizio parlò d’istinto, in seguito propose un termine più indeterminato che possiamo tradurre proprio come “pulsione”.

I miti di tutte le civiltà ci parlano del resto di un’innocenza perduta che apre le porte ad un pellegrinaggio di redenzione su questa terra: insomma noi possiamo desiderare di desiderare. Se pensiamo che ogni desiderio abbia pari legittimità, che trovarsi in una situazione piuttosto che un’altra sia da attribuire a un non-senso che chiamiamo caso, allora ci possiamo fermare qui. Se invece accettiamo, o semplicemente ci affascina di più l’idea che ci sia un ordine nelle cose del mondo, allora possiamo ritornare ai nostri tre guna. Essi sono i parametri con i quali viene spiegato il comportamento umano e per estensione tutte le manifestazioni della Natura.



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