In questo XVII capitolo, Krishna descrive al suo discepolo cinque modalità in cui l’uomo può esprimersi in relazione alla sua natura: la fede, il cibo, i sacrifici, le austerità e la carità.
Sembrano cose religiose non è vero?
Lo sono infatti, ma di una religiosità che appartiene anche a chi non è interessato alla religione, perché qui il termine è assunto nel significato etimologico di “ciò che rilega”, è una visione che unisce quello che nell’universo appare “squadernato”.
Shraddha
Io non conosco persone senza fede, anche il nichilismo attribuito alla nostra contemporaneità è carico di una mitologia della tecnologia che conta milioni di entusiastici sostenitori; è stata la fede in certi ideali che ha trasformato la vita e la coscienza su questo pianeta, e soprattutto è la fede che determina i desideri: c’è qualcosa di più importante nella vita di un umano?
Aharas
Chi più chi meno tutti mangiamo, pensiamo a quanto ci condiziona quello che mangiamo, non è solo una questione di salute e di malattia, è un abito mentale. E a quanto possono contribuire o compromettere la salute del pianeta le scelte alimentari, ci abbiamo mai pensato?
Yajnam
Qualcuno può credere che il sacrificio riguardi una lontana liturgia indiana descritta nel Mahabarata. E’ anche quello, ma qui ci viene descritto il senso del sacro: portare le nostre azioni, la nostra vita nel sacro. Che vuol dire “rendere sacro”? Il significato che mi viene più naturale consiste nel dare un senso e un ordine alle cose, ri-contestualizzare, “rilegare” in un unicum ciò che appare slegato… se vi par poco!
Tapah
Le austerità ispirate da Krishna per Arjuna non sono i chiodi nella carne dei fachiri, neanche i mortificanti digiuni piacciono al “Glorioso Signore” della Bhagavadgita, le ascesi qui sono intese a ri-armonizzare le relazioni con gli altri esseri e con questa straordinaria astronave che viaggia nello spazio, sono la non-violenza, la semplicità, il discernimento e la coerenza verso i principi morali condivisi da tutte le grandi tradizioni degne di questo nome. Addirittura Krishna suggerisce al suo discepolo di usare un linguaggio che “non agita”, tanto per dire della sottigliezza psicologica con la quale vengono trattati argomenti apparentemente relegati nella sfera della liturgia religiosa. Per dirla in una parola sola, i termini austerità e ascesi significano stare nel dharma, consistono in una coerenza etica verso principi morali universali… mi pare che questa visione vada oltre il sagrato delle chiese o le colonne dei templi!
Danam
Infine sulla carità la Bhagavadgita non dice che va fatta tre volte al giorno o col plenilunio, non se la cava con una precettistica, mette piuttosto in guardia dall’inorgoglimento e sulla destinazione, perché la carità non serve a far diventare ricco il povero, ma necessita a chi la compie per restituire una parte di ciò che comunque non gli appartiene, è lo strumento per capire che siamo venuti nudi e nudi ce ne andremo e tutto quello che pensiamo di aver realizzato noi in questo mondo è a sua volta un dono. Il donare fa parte dell’arte del vivere bene, senza il dono la vita diventa uno stretto recinto dall’aria irrespirabile, ma anche il donare va imparato.
E quando l’essere umano ha realizzato la perfezione in questa arte di vivere, solo allora può accedere al trascendente, il Maestro direbbe “portarsi in sattva guna”, l’unico trampolino disponibile (ed autorizzato) per tuffarsi nell’oceanica dimensione di om, sat, cit. A questo serve il duro lavoro d’affinamento esistenziale, perché tutto il resto “se lo portano via i ladri e lo mangiano i vermi”.
La materia, la Natura è bella, specialmente se è vissuta nel dharma, solo allora diventa sacra e conduce ad una dimensione altrimenti invisibile e che, incomprensibilmente, è più reale della realtà. Ed è a quella dimensione che invariabilmente tutti, illuminati ed ottenebrati, facciamo riferimento, è il mondo delle idee di Platone con i suoi riflessi terreni nelle cose del mondo, e fra tutte le idee quella del “bene” le supera tutte ed attrae irresistibilmente ogni cuore palpitante che voli o che strisci sulla Terra. Nella tradizione di cui è portatore Marco Ferrini è “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, la bhakti, l’amore che è Dio e Dio che è amore, come si realizza questo amor dipende poi dalla distorsione della materia.
E’ per indicare le giuste modalità e raggiungere la felicità che si sono costituite le tradizioni religiose con la loro letteratura rivelata ai mistici e tramandata dai saggi, perché l’uomo da solo non ce la fa e soltanto una mentalità poco lungimirante ha potuto sostituire i grandi miti con l’autoreferenzialità economica e tecnica.