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sempre al computer

Creato il 25 luglio 2014 da Plus1gmt

Il trucco, lo sapete, è quello di non farsi beccare con troppa frequenza con le mani nel sacco perché figli e compagne di vita non ammettono i comportamenti reiterati viranti al maniacale che è un po’ lo specifico maschile, da sempre e a ogni latitudine. Non so, immagino mogli svizzere nelle epoche precedenti alla rivoluzione industriale che riprendono i mariti rei di passare tutto il tempo libero a intagliare il legno, o bambini giapponesi che piangono con le loro madri il proprio papà sempre assente perché preso dall’arte dell’origami nel suo tempo libero.

Ed ecco l’elemento chiave che ci frega, quel tempo che noi consideriamo libero di essere riempito esclusivamente da attività che la nostra forma mentis impone come soggette a un metodo. Un fenomeno compulsivo che ci incastra in una sorta di monogamia all’estremo con un unico interesse. Vi vedo con le vostre navi di legno, pensierosi al cospetto di puzzle da milioni di tessere, nei vostri garage con la maschera da saldatori, seduti in riva a pozze d’acqua artificiali con la canna in mano, quella da pesca, in attesa che qualcuno o qualcosa abbocchi. Peccato che tutti questi catalizzatori di solitudini siano stati pian piano soppiantati da passatempi in cui la poesia, se proprio la vogliamo dire tutta, è piuttosto carente.

Papà è sempre al computer è quanto di peggio un uomo possa sentirsi dire soprattutto se colto in fallo proprio nel corso di tentativi di moralizzazione genitoriale. C’è poco da fare la ramanzina contro la svogliatezza di un pargolo o per costringerlo a spegnere la tv se poi noi, dal nostro pulpito fallace, diamo il cattivo esempio con le nostre attività virtuali. Fotografia digitale, musica digitale, narrativa digitale. Che non ci sarebbe poi nulla di male, credo, se avessimo un po’ più di senso della misura.

L’evoluzione dell’uomo, nel senso di genere maschile, prevede l’aver sempre qualcosa in mano di connesso alla rete e la conseguente immersione in quel brodo primordiale in grado di fornirci un’esperienza totalizzatrice mai vista nella nostra specie. Perché c’è tutto, ogni senso è appagato, persino l’olfatto con quell’odore della plastica hi tech appena spacchettata dal cartone di Amazon. Siamo pronti a sacrificare salute e felicità per proiettarci nel buco luminoso da svariati pollici che teniamo sempre acceso, in stand by o protetto da custodie di fabbricazione cinese, laptop o tablet o smartphone sempre nel quadro visivo per riuscire a dare un’occhiata quando non ci vede nessuno o fottendocene bellamente, a costo di fare la figura di quelli che della tecnologia oramai sono dipendenti.

Così questa schiavitù a banda larga metterà la parola fine alla nostra attendibilità di educatori, e non ci sorprenderemo più di essere rappresentati nei disegni dei nostri figli un po’ separati dal nucleo famigliare, con lo sguardo rivolto altrove, molto più piccoli rispetto al resto dell’ambiente abitativo, tutti presi dalla nostra passione per Internet mentre il resto dei nostri cari, colorati e almeno sulla carta lieti animali domestici compresi, si tiene per mano.



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