Questa regione meridionale del Senegal, confinante con il Gambia e la Guinea Bissau,paesi con cui ha stretti legami, vive dal 1982 una conflittualità interna terribile e fastidiosa, che ha prodotto morti e devastazioni a non finire per un lungo periodo e che cerca, ancora oggi, nel ribellismo politico delle sue frange estreme, autonomia da Dakar. Quella che, però , non è mai venuta.
Dakar, piuttosto, ha inviato laggiù, molto spesso, soltanto militari. E per sedare le ripetute proteste e per mettere il bavaglio ai rivoltosi.
Nel gennaio 2012, il presidente Wade, ormai certo di non essere più in sella per un nuovo incarico presidenziale, ha chiesto, allora, alla Comunità italiana di Sant’Egidio di fare da mediatrice per tentare un’ennesima volta la pace in Casamance.
Un segnale di positività, prima dell’uscita di scena, che egli intendeva forse lasciare a proposito del suo operato per altro, a tratti ,e come purtroppo ben sappiamo (nepotismo e corruzione in primis), piuttosto discutibile.
E pare infine che, a piccoli passi, qualcosa cominci davvero a muoversi e ci si stia riuscendo anche se è troppo presto, ovviamente, per gridare vittoria.
Conosciamo la tenacia e l’impegno serio della Comunità di Sant’Egidio.
Mozambico docet. E non solo.
Il fatto è che sono gli stessi abitanti della regione,intendo della Casamance, che non vogliono più saperne della violenza.
Trent’anni sono state tantissimi in disagi e in sofferenze, per cui agognano assolutamente, per i propri figli, un avvenire molto differente da quello che essi hanno avuto in sorte di vivere.
E probabilmente, vinte le resistenze interne al Movimento delle forze democratiche in Casamance (Mfdc), dove un’ala armata e intransigente non intende affatto mollare la sua guerra, si arriverà al risultato positivo che si spera.
Per il momento, prudenzialmente, la Comunità di Sant’Egidio tratta con un solo interlocutore, che è Salif Sadio,che non ha, comunque, il controllo totale sul movimento.
Ma perché, in origine, questa ribellione della Casamance ?
Essa, la Casamance, e dunque la sua gente, non intendeva fare la”cenerentola” della capitale Dakar come, nei fatti, accadeva .Ha chiesto da sempre, anche sotto il dominio coloniale francese, di avere una propria rappresentanza politica e amministrativa, che le veniva sistematicamente negata.
Lo sfruttamento economico,che in buona parte c’è stato, così come anche una certa forma di colonizzazione culturale ( lingua e religione), hanno mantenuto vivo il desiderio d’indipendenza e, quindi, alta la voglia di conflitto in certe frange della popolazione che, per quanto strisciante, e cioè di quello che gli esperti definiscono a bassa intensità, si è protratto troppo e ancora fino ai nostri giorni.
Il negativo del bilancio trentennale di morti , devastazioni e fughe, in Casamance e dalla Casamance, ce lo danno le cifre dell’Acnur (Alto Commissariato Onu per i rifugiati), di Amnesty International con i suoi periodici rapporti, e di altre Ong locali, come Apranis.D.P.
Basta andare a leggerli.
Fare il tifo per la pace, in questo caso, sarebbe non solo far tacere le armi ma, principalmente, dare una mano alla regione per uscire dalla crisi economica e sociale in cui è piombata da un trentennio.
E i numeri per un’autentica ripresa ci sarebbero tutti. Partendo, per esempio, dalla bellezza dei luoghi. In particolare da quella delle sue spiagge (turismo). Così come dalla fertilità delle sue terre (agricoltura).Sopratutto, però, bisogna far ritornare i giovani sui banchi di scuola.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)