Asif Kapadia, pluripremiato regista inglese di origine indiana e conosciuto soprattutto per il bel lungometraggio d’esordio, The Warrior, interamente recitato in hindi, rinverdisce i fasti di un mito degli anni ‘80: il pilota brasiliano di Formula 1 Ayrton Senna.
Alternando immagini di repertorio ad alcune inedite e private concesse dalla famiglia del pilota, Kapadia costruisce con una sceneggiatura ad hoc una sorta di agiografia di un personaggio leggendario, amatissimo, di quelli che Warhol avrebbe ritratto in una delle sue serigrafie, non fosse morto sette anni prima di lui ed un anno prima del primo titolo mondiale (1988) di Ayrton Senna da Silva.
Struttura da film di genere: gli inizi nel go-kart dove mostra il suo talento innato, le prime prove in Formula 1 in cui sa emergere nelle condizioni difficili (fenomenale sul bagnato), la prima vittoria ovviamente in rimonta, la chiamata della scuderia importante con cui può cominciare a lottare per il titolo. Premesse essenziali per introdurre la nascita del mito di un eroe anticonformista: l’eterno dualismo con il compagno/rivale francese Alain Prost, metodico, calcolatore e affiliato al potere, nonché amico intimo dell’allora presidente FIA Jean-Marie Balestre, mentre lui istintivo, talentuoso, attento nella preparazione, che andava oltre i limiti della meccanica, che a volte perdeva corse già vinte per stravincere, lui bravo ragazzo di buona famiglia, lui religiosissimo, non si trovava a proprio agio a recitare la parte dell’ingranaggio nei meccanismi dominanti. Ripicche quotidiane e un Campionato del Mondo scippato con cavilli “legali” furono alcune delle conseguenze della sua lotta al sistema, che potremmo sintetizzare in due frasi più volte ripetute nel film: “Formula 1 is too much money, too much politics” (Senna); “The best decision is my decision” (J.M. Balestre). Sommiamoci poi il rapporto con la più popolare presentatrice brasiliana del periodo, la bellissima Adriana Galisteu, e Senna diventa il più amato sportivo di tutto un Brasile povero e pieno di miseria come sempre, ma anche generoso nell’amare i suoi concittadini che ce l’hanno fatta e che non dimenticano mai da dove vengono.
Così la morte di Ayrton, avvenuta il 1 Maggio 1994 a Imola, per colpa di misure di sicurezza non adottate dalla FIA e per le quali si era sempre battuto, per una tragica fatalità e un guasto meccanico, sembra quella di un martire, se non di un novello Gesù (34 anni). E allora spazio alla commozione e alla nostalgia, dai funerali con migliaia di persone alle immagini inedite di vita quotidiana, in cui forse Kapadia si dilunga un pò troppo. Strana dimenticanza: nel giorno in cui morì, Senna aveva con sé la bandiera austriaca che avrebbe sventolato, qualora avesse vinto, in onore di Roland Ratzemberg, morto durante le qualifiche il giorno prima.
Il film si chiude con gli epitaffi di rito che ricordano che la morte di Senna è stata l’ultima della Formula 1, che dopo la tragedia è stata rivoluzionata l’intera sicurezza su pista, e che l’associazione benefica fondata alla sua morte ha fra i principali esponenti Alain Prost. Considerazioni meno banali di quanto sembrino: l’intento del regista era quello di raccontare l’ultima incarnazione di una F1 romantica e incentrata sulle abilità dei piloti, e il passaggio ad un’epoca (quella odierna) in cui a fare la differenza sono sostanzialmente le vetture (trad.: soldi e programmazione). Simbolo del cambiamento generazionale fu la Williams, prima ad adottare dei dispositivi elettronici (sospensioni attive e controllo della trazione), che favorirono la vittoria di Prost all’ultimo Mondiale, mentre Senna non ne poté usufruire (perché bandite), e nel cercare di rendere competitiva la vettura trovò la morte.
In conclusione, un documentario molto sentito dal regista, che forse si dilunga e parteggia un po’ troppo per il protagonista, ma girato con buon ritmo e una precisa idea di cinema, quella di un moderno racconto epico, individualista e dai toni crepuscolari.
Angelo Mozzetta