I leader sono ritenuti potenti generatori di consenso culturale, umano e politico.
Tutto ciò è reale o è solo un’illusione creata ad hoc dall’immaginario collettivo?
La morte di Mandela è l’ultimo incontro dell’umanità con uno dei leader politici che si è certi abbia contribuito a scrivere la Storia. Ma è così? Così la Storia realmente si invera o è solo un modo più veloce di sintetizzare larghi e infiniti (som)movimenti materiali, di costume, antropologici, economici, industriali che vanno al di là dei presunti condottieri del pensiero in progresso?
Nessuno cambia il mondo da solo, eppure nella sunnominata prassi occidentale, un po’ raccogliticcia, i quattro esempi riportati sembrano aver impresso un’accelerata determinante alle sorti magnifiche del pensiero politico degli uomini e delle donne del mondo globalizzato. Anzi, forse, si può dire che siano stati i fautori del mondo globalizzato in ambito politico. Nessuno, avvicinandosi ad un’analisi della politica o ad un semplice impegno politico di militanza, può, considerati i parametri non scritti ma ritenuti ineliminabili, sottrarsi da un riconoscimento nei valori da quei leader veicolati.
Nessuno, nel mondo occidentale, può esimersi dal prendere come punto di riferimento gli insegnamenti dei grandi uomini che la storia insegna essere ineludibili. Nonostante la storia sia molto più complessa di quattro uomini e soprattutto dimostri, nel suo fluire, di come sia impossibile che dalle parole di un essere umano possa prodursi un cambiamento.
Un atteggiamento cieco e credulone che spinge gli uomini a indulgere nell’utopia o nella speranza, con una forma intellettuale che è molto affine alla prammatica religiosa e, nei casi peggiori, ad un’auto-indotta estasi mistica nei confronti di un leader.
Tutto, dunque, rimane a livello di adesione superficiale, quasi che le parole dei giganti fossero l’orpello utile alla sostanza fallace dei presunti leader contemporanei. Ma il dramma non sta tanto nella comparazione tra Mandela e la Merkel, o tra Luther King e Letta, piuttosto si concretizza nella consapevolezza che le parole di quei leader non abbiano mai contato veramente. Se non sublimate in slogan da tazebao ossequioso e militante o in prodotti artistici, schemi sociologici, a volte quadri psicanalitici.
Non è ridondante affermare che un italiano possa essere influenzato di più dai contro-valori di Cosa Nostra e, nella fattispecie,
Così vale per un sudafricano: è più facile immaginarlo inzuppato nella bassa cultura della corruzione e del razzismo ancora stagnanti e dilaganti nelle towns che dall’esempio di misericordia e carisma offerto a lui dall’appena scomparso Madiba.
C’è un altro aspetto, tuttavia, su cui soffermarsi. Vi sono pensatori, scrittori, artisti, scienziati che forse meriterebbero lo stesso trattamento di favore – icone tra la plebe -, ma che vengono ignorati perché è alla politica, al presenzialismo politico che si dà, da sempre, la maggiore importanza in termini di carisma e rilevanza decisiva per i destini dell’umanità.
Su questa scorta, in Italia, soprattutto nei mezzi di informazione e, purtroppo, di conseguenza, in molti studi accademici, si dedica un’attenzione devastante ai politici, visti, di volta in volta, come i possibili salvatori della patria o, nella peggiore delle ipotesi, come mostri affamatori di popoli. In soldoni, si concede loro una capacità d’incidere, sia nel bene che nel male, che è senza dubbio esagerata o, addirittura, inesistente. E non per demeriti o meriti del presunto leader in sé, ma perché la Storia veleggia sopra gli eroi e le tombe e segue il suo percorso come le forze della natura.
Certamente è più influente per la vita di un cittadino un contratto “take or pay” in ambito energetico, che un discorso di qualsiasi politico che sia in una piazza o in una televisione patinata. Allo stesso modo, è più influente, per gli animi letterari, un qualsiasi potente romanzo che la tanto citata, celebrata e sopravvalutata Bad Godesberg nel contesto del socialismo europeo.
La portata della Storia è tanto totalizzante quanto ignorata. Ed è ignorata se si parla di rifiuti a Napoli, credendo che sia un problema degli ultimi anni, quando invece, in ogni rimando alla monnezza partenopea, si dovrebbe ricordare che tale cronica criticità è descritta sin dall’Unità d’Italia. Ciò può essere traslato in molti campi: dall’emigrazione, oggi chiamata fuga dei cervelli (mentre gli italiani emigrano da quando esistono), o al problema carcerario, evidenziato già dagli anni Sessanta. Invece tutto sembra afferente alla sfera dell’immediato, del qui e adesso, causando, così, l’attesa del liberatore, del profeta, dell’uomo nuovo.
Ogni elaborazione intellettuale prodotta dalla Cultura (alta o bassa poco importa) inocula la convinzione nell’uomo della strada, o nel cittadino, che la speranza di un Messia è sempre vicina a giungere. Un atteggiamento chassidico, sebbene molti uomini della strada o cittadini non siano minimamente sfiorati dai fatti politici della quotidianità.
Pochi si accorgono che la Storia non menzionerà neanche per sbaglio tale evento mediato, camuffato come politico, proprio perché assolutamente irrilevante. Della seconda repubblica italiana rimarrà poco in un futuro compendio scritto sulla storia mondiale del XXI secolo. Un paragrafo, forse con note, perso tra i capitoli, di anni che, oggi, si sussumono cruciali per un possibile cambiamento o una più probabile conservazione della realtà. Per esemplificare la futilità dalle cronache istantanee, sarà certamente più importante discorrere tra un secolo, in riferimento al dicembre 2013, dell’occupazione dei palazzi thailandesi da parte del popolo che della vittoria alle primarie di Matteo Renzi.
Eppure permane lo stesso dubbio di cui sopra. Se non influiscono in maniera determinante l’esempio di mostri sacri come quelli su menzionati, è mai possibile che un leader nuovo, o alcuni uomini di buona volontà cambino il destino di un Paese, di un territorio, di una storia?
Nella relazione firmata dal professor Pietro Rocchini, egli descrive il terrorista Preiti, che sparò ad aprile a Montecitorio in
Non era pazzo Preiti, forse era animato da qualcun altro, sicuramente credeva di essere al centro della Storia ed era lì, con la sua pistola, pronto a cambiarla. Poverino, verrebbe da dire se non fosse un criminale, aveva sbagliato tutto. Lì, a Montecitorio, quel giorno, non si decideva proprio niente.