Ammetto la mia ignoranza, non sapevo esistesse, e sinceramente preferivo non saperlo, la Commissione Nazionale Valutazione Film della Comunità Episcopale Italiana (CEI) e che un suo giudizio negativo potesse precludere l’accesso a molte sale del circuito di qualità, spesso anche gestite da laici. L'ho saputo imbattendomi nella denuncia della Teodora Film, che in Italia distribuisce l’ultimo film di Andrew Haigh, "Weekend".
La CEI dunque condanna al rogo il film, una storia d'amore fra gay, giudicandolo "Sconsigliato/Non utilizzabile/Scabroso", una vera e propria sentenza che ha fatto sì che fosse visibile solo in 10 sale cinematografiche in tutta Italia.
Al di là del film in sé, che non ho visto e che non posso giudicare, è aberrante che il giudizio di una commissione di persone legate alla chiesa cattolica determini le fortune o le sciagure di un film. Siamo nel 2016, eppure qualche volta, quando si assistono a certi episodi sembra di essere tornati indietro di 60 anni, quando per un’inezia si stravolgevano interi film considerati "contrari al buon costume".
Cambiano i tempi, ma la censura resta sempre la stessa. E’ più sottile, meno evidente, ma non per questo meno forte. Subirla è una sconfitta per tutti. Anche per chi giudica "scabroso" un film e lo censura.
Mi rimane però una curiosità: come mai la suddetta commissione non si è pronunciata su "Spotlight" che racconta con accuratezza gli abusi sessuali commessi da alcuni preti di Boston coperti dai costanti silenzi di un cardinale? Preferisce forse tacere sulla realtà, sulla dimensione inusitata del fenomeno (quasi 3500 casi in dieci anni) e sulla sistematicità della copertura da parte del Vaticano?
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