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Senza arte né parte, però scusate, vogliamo ancora chiamarle “arti minori”?

Creato il 15 ottobre 2011 da Naimasco78

Mi è stato consigliato di scrivere di argomenti meno inflazionati, così, ho pensato di parlare di santini.

Sì, avete letto bene, santini. Voglio esprimere oggi la mia opinione in merito, anche se fondamentalmente non sono abbastanza ferrata sull’argomento per poterne parlare in un post che come minimo prevede 700-800 parole. Vorrà dire che disquisirò in questa uggiosa mattinata di ottobre con 700-800 parole di niente. E inizierò proprio insinuando in voi il dubbio, la seconda possibilità da vagliare: non è come sembra.

Il 23 e 24 settembre a Paganica, in provincia dell’Aquila, è stata allestita una mostra di santini. Ebbene signori, detta così, per la stragrande maggioranza degli italiani e non, avrà tutta l’aria di un evento molto poco mondano ma invece molto molto parrocchiale, organizzato in funzione di una raccolta fondi per una missione in non si sa quale Paese sperduto dell’Africa Nera. Bene, partendo dal presupposto che porto il massimo rispetto per le raccolte fondi per beneficenza, per le missioni in Africa e per tutto ciò che abbia un qualcosa di vagamente filantropico, ho però l’obbligo di farvi notare che non è questo il caso e che per l’ennesima volta, i luoghi comuni hanno la prevalenza sull’opinione personale (questo sconosciuto, la definirei). Una mostra di santini, organizzata come quella che ho visitato io, non ha niente a che vedere nè con la Chiesa, nè con la parrocchia e nè tantomeno con le organizzazioni no profit. Quello che ho visto io è una mostra d’arte, a tutti gli effetti, allestita secondo un ordine logico ben preciso.

Quando tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento l’Art Nouveau prese piede in Europa, la gente impazzì. Piaceva a tutti questo nuovo stile così frivolo e decorativo, ma nuovo, elegante, prezioso. Tutto ciò che veniva toccato dallo stile Liberty assumeva le sembianze di un fiore rampicante che sembrava voler riempire e profumare la stanza nella quale si trovava. Per la maggior parte delle persone, l’art nouveau ha coinvolto solo la ceramica, la gioielleria, la decorazione d’interni, ecc…Di conseguenza, è arte minore, perchè è “volgarmente votata alla produzione di oggetti di uso quotidiano”. E’ artigianale, quindi, è opera manifatturiera, non può essere elevata allo stello livello della nobile pittura. Forse però molti dimenticano che Gustav Klimt, uno degli artisti più commercialmente amati dal grande pubblico, è liberty, è decorativo, stende i suoi soggetti, le sue donne così intrise di femminilità, su un letto di inserti dorati, ghirigori floreali e tasselli colorati. Forse, sempre quei molti, dimenticano che agli inizi del Quattrocento direttamente dall’Oltralpe si diffuse in Italia il Gotico internazionale, o Gotico fiorito che dir si voglia, che riempì le tavole dei nostri Simone Martini, Gentile da Fabriano, Pisanello, ecc…(maestri tra i più stimati) di oro e vezzi fitomorfi. Nessuno si è mai sognato di definire le opere contaminate dal Gotico fiorito “arte minore”, mentre tutto ciò che è stato sporcato dal Liberty, sì.

Senza arte né parte, però scusate, vogliamo ancora chiamarle “arti minori”?
Qualche mese fa invece, mi sono imbattuta in una esposizione altrettanto stupefacente, per la tematica, intendo. Seven Dimension è un progetto realizzato da un collettivo di writers che finalmente, dopo lunga e penosa malattia, sono riusciti a far elevare a rango di “forma d’arte” i graffiti, che fino a poco tempo fa molti di noi consideravano sporcizia imbrattamuri. Ho conosciuto uno di loro, Dado, un bolognese, che fra parentesi era uno dei miei idoli di quando da ragazza mi portavano al Livello 57, in via dello Scalo, a vedere i graffiti della Spa, o di altri gruppi di artisti. Perchè sì, èd’obbligo direi considerarli quanto lo sono stati Jean Michel Basquiat, pupillo di Andy Wahrol ai tempi della Factory newyorchese, Keith Haring, altro creativo divenuto ormai famoso allo sfinimento in quanto le sue opere sono utilizzate ormai anche per decorare le t-shirt, ecc… Mi ha raccontato Dado, che non è più come una volta, essere writers:  la loro arte ha guadagnato in legalità, nel senso che ora tutti loro hanno a disposizione degli spazi ben definiti e approvati per esprimersi, quello che ha perso in romanticismo. Da un lato, dice, era bello creare di notte, di nascosto, con la continua paura che arrivasse la Madama (polizia, in slang bolognese). Aveva un che di avventuroso, e faceva parte della filosofia della Street Art, questo voler lasciare dei messaggi, sociali, politici, di disagio urbano, di notte, in modo che tutta la città potesse, l’indomani, rimanere a bocca aperta vedendo una nuova creazione sbocciata sui muri della stazione dei treni.

Cosa c’entrano i santini con i graffiti? Nulla, se non che vengono entrambi considerati di poco conto, nel mondo artistico: i primi per la loro funzione apparentemente solo devozionale, i secondi per il loro fastidioso modo di cambiare i connotati alle città. In realtà, sfiderei chiunque a realizzare un graffito di notevoli dimensioni con delle bombolette spray come hanno fatto Dado, Ciufs, Sonosolo, ecc…di notte, al buoi e con la paura di essere arrestati. E sfiderei gli stessi a realizzare delle incisioni di una bellezza disarmante non su tele delle dimensioni dei quadri di Rubens che uno solo occupa un’intera parete del Louvre, ma su dei pezzetti di carta grandi come le vecchie foto istantanee delle Polaroid.

Vogliamo quindi considerarle ancora “arti minori” o pensate che possano, i santini come i graffiti e come tante altre forme d’arte declassate di livello, rientrare a tutti gli effetti nel vasto panorama dominato dalla parola insidacabile dei critici d’arte? A proposito, chissà cosa ne pensa il buon Francesco Bonami, critico e autore di numerosi saggi che ho letto praticamente tutti. Lui, a detta di Vanity Fair, visita all’incirca un centinaio di mostre l’anno. Ma dottor Bonami, non l’ho vista alla mostra dei santini. Forse non ci siamo incrociati?



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