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Senza cuore non c'é cura...

Creato il 21 dicembre 2013 da Fernando @fernandomartel2
 Nel 2009 mi è stata diagnosticata all’ospedale di Rivoli, fibrillazione atriale e il 1/12/2010 vengo operato all'ospedale Mauriziano di Torino, con ablazione. Il decorso e le varie visite di controllo successive sono, con alterna fortuna, cose quotidiane di buona e cattiva sanità, ma quello che succede nell'ultimo anno, travalica la possibilità di essere considerato con leggerezza. Quello che succede nel 2013 è questo: Il 27 febbraio 2013, mi reco presso il reparto cardiologico dell'ospedale San Luigi di Orbassano, per una visita di controllo prenotata precedentemente. La scelta dell'ospedale é dovuta alla comodità di spostamento e alla vicinanza alla mia abitazione.  La visita mi viene fatta, con cura e perizia, dalla dottoressa Ilaria Salvetti, la quale, dopo la visita, mi chiede di effettuare una serie di controlli ed esami, visto che io lamento una serie di dimenticanze e di brevi stati confusionali della memoria breve. Dopo aver prenotato ed effettuato tutti gli esami richiesti(sono stati necessari 6 mesi), ri-prenoto per la concordata visita di controllo prenotata per il 27 settembre 2013. Al CUP  mi dicono che non posso scegliere di avere ancora la dottoressa, ma mi vedrà il medico che capiterà...il 27 settembre mi reco alla visita in appuntamento alle 11,10. Il dottor Gianpaolo Varalda, che mi visiterà, esce dal suo ufficio per chiedere chi sono le persone che devono essere visitate e, in seguito all'appello ( ci siamo solo io ed una signora prenotata prima di me) compare un signore non in elenco al quale il dottor Varalda dice che non se ne fa niente; tocca alla signora e, successivamente, al signor Martella. Dopo la visita alla signora però, il dottore chiama in studio quel signore che non era in elenco e alla mia richiesta di cosa succedeva, mi dice che non mi deve spiegazioni, che se io voglio è così, se no..., gli spiego che a casa ho un bambino di un anno e mezzo che devo tenere, che mia moglie, Oss presso una struttura pubblica, fa il secondo turno e che la mia ora di prenotazione era quella  delle 11 e 10. Mi risponde che dei miei problemi lui non intende preoccuparsi. Aspetto che mi visiti. La visita è di grande professionalità e serena, sono soddisfatto. Nonostante il teatrino che l'ha preceduta, ho avuto la netta sensazione che il dott. Gianpaolo Varalda, sia uno specialista serio e competente. Concordiamo per la sostituzione del Coumadin con una nuova terapia che mi affranchi dai numerosi controlli ed attenzioni alimentari che la Tao comporta, ma che per poter accedere a questa nuova terapia devo effettuare un esame di controllo della creatinina. Il dottore trattiene la mia diagnosi in attesa che io gli trasmetti i risultati dell'esame ed inseguito me la darà con la prescrizione della nuova medicina.  Trasmetto con una mail, il risultato dell'esame della creatinina il 9 0ttobre al dott. G.V. come d'accordo e resto in attesa di un riscontro che arriverà il 20 ottobre con data del 10. Nelle due settimane passate dalla mia mail, ho cercato più volte il dottore al telefono, in reparto, in segreteria, senza mai riuscire a parlargli o a ricevere un suo scritto o telefonata. Dopo 15 giorni, nella sua mail, scritta il 10 ed inviata il 20 di ottobre il cardiologo mi dice che la creatinina va bene, il giorno dopo posso passare a ritirare la prescrizione della medicina e la diagnosi della visita. Il 21 ottobre, puntualmente, sono davanti al suo ufficio, dopo qualche minuto esce il dottore e, dopo aver fatto entrare il paziente successivo mi chiede chi sono e cosa aspetto: " Non ho niente pronto per lei...dovrà tornare." " Quando dottore?" " Non sò dirle ora....ma se ne vada perché per lei non ho niente ora." Sono arrabbiato per aver fatto 40 km, perso una mattinata fuori casa, senza aver ancora né la prescrizione medica per la medicina, né la documentazione relativa alla visita del 27 settembre. Prima di uscire incrocio la dottoressa che mi aveva visitato a febbraio; la dottoressa I.Salvetti, alla quale, dopo aver chiesto scusa, presento la situazione e chiedo consiglio su come mi dovrei comportare. “ Porti pazienza una decina di giorni”. Attendo due settimane, non senza qualche timore per la mia salute, visto che all’ultimo esame del sangue per rilevare l’INR, le cose non vanno affatto bene, anzi. Due settimane dopo decido di telefonare al direttore sanitario del reparto cardiologico del San Luigi, dottor Roberto Pozzi, per informarlo del comportamento del suo collega e chiedere cosa devo fare. Dopo avermi ascoltato a lungo, il primario mi invita a passare già il mattino dopo da lui per ovviare alla situazione. E’ sabato ed io non ho la macchina che mia moglie lavora, opto per il lunedì che fa riposo e ringrazio il primario per la comprensione. Il lunedì mattina mi presento nell’ufficio del direttore del reparto cardiologico dell’ospedale di Orbassano. Dopo aver chiarito il problema ed essersi scusato per il collega, il dottore mi dice che devo tornare però il giorno dopo per poter avere la ricetta poiché dovendo essere monitorizzato dal Ministero della Sanità, per l’assunzione di quel farmaco, devo firmarne il protocollo. Il martedì sono di nuovo in ospedale con il bambino che non ho potuto lasciare a nessuno. Circa un’ora di traffico al computer non sono bastati ad un tecnico venuto apposta nell’ufficio del dirigente, per inserire i miei dati nella banca dati del Ministero. A questo punto, il dott. Pozzi mi fa una ricetta cartacea e mi rimanda dal mio curante per la prescrizione medica, alla pratica di monitoraggio penseranno dopo loro. Nel pomeriggio dello stesso giorno, mi reco dal mio medico di base, per farmi trascrivere la ricetta, fatto questo vado in farmacia dove mi dicono che quel medicinale non è tenuto nelle scorte, devono ordinarlo per il giorno dopo. Finalmente, alle 19,15 di sera del 20 novenbre, 10 mesi dopo la visita cardiologica di controllo, sono a capo della situazione. Almeno lo credevo. Alle 19,20 ricevo una telefonata dal direttore Pozzi del reparto del San Luigi che mi chiede di non aver fretta di precipitarmi (sich!) dal curante, poiché lui ha parlato con il collega G.Varalda, il quale aveva prescritto per il mio caso, una dose di Pradaxa diversa da quella indicata da lui nella ricetta del mattino. Si impegna di inviarmi , per il mattino seguente la ricetta corretta per il mio curante. Lo informo che io dal curante c’ero già stato e che dovrò disdire la medicina ordinata in farmacia, ma…lo farò, solo chiedo di avere la nuova ricetta in mattinata poiché la medicina la potrò prendere solo al pomeriggio ed il mio fattore di coaugulazione è al minimo da una settimana; rischio un trombo! L’assicurazione che al mattino, appena dopo le nove, io avrò la ricetta, è senza se e senza ma. Il mattino seguente però, alle 10,00 del 21 novembre, della mia ricetta non si sa  ancora niente. Il medico di base che mi cura ha l’orario di apertura quel giorno dalle 10,00 alle 12,00 e tra poco, neppure oggi potrò prendere il Pradaxa. Telefono al primario dell’ospedale, il quale è parco di scuse per il troppo daffare si é dimenticato  “ Avesse solo una minima idea di quanto lavoro dobbiamo gestire qui…Ma ora le mando subito la mail!” e dopo un quarto d’ora son costretto a richiamare poiché la ricetta che mi ha inviato per mail riguarda un altro paziente. “ Ecco cosa succede ad avere tanta fretta caro signor Martella, lei ci sta troppo addosso ed io non ho avuto la tranquillità che ci vuole per queste cose!” Questa volta non posso più pensare che la calma possa servire a risolvere la faccenda e sbotto: “ Ma che cavolo dice dottore, lei è in sé? Io ho fatto una visita il 27 febbraio e per gli esami ho dovuto impiegarci 6 mesi, ritorno al controllo il 27 settembre dal suo collega G.Varalda e siamo quasi a due mesi di distanza ed io non riesco ad ottenere una ricetta e la diagnosi di quella visita, vengo convocato il 21 ottobre e mi si rimanda indietro come un cretino, lei mi deve fare una ricetta da tre giorni, me la sbaglia la prima, mi invia la ricetta di un altro alla seconda e sono ancora con l’INR che corro dei rischi. Ma lei dirige un reparto di cardiologia o uno psichiatrico?” “Le invio subito la sua ricetta!” finalmente dopo altri 15 minuti ho la mail con la mia ricetta, la stampo e corro dal curante per farmi rifare la ricetta giusta per la medicina. Il Pradaxa è un medicinale che fuori d’Italia è in uso da circa 10 anni, in fin dei conti, cosa è un anno per poterlo ottenere dal reparto di un ospedale che sotto i suoi fogli intestati reca la scritta “ Senza cuore non c’è cura”? Nella sala di attesa del medico di famiglia, ho il tempo di dare uno sguardo alla prescrizione, è datata primo ottobre 2013! Cioè dal primo ottobre 2013 io sarei in cura col Pradaxa, che essendo monitorato dal Ministero della salute, avrà ricevuto dei dati che mi riguardano. La ricetta è firmata da quel G.V. che mi ha rinviato a casa senza ricetta il 21 ottobre, dicendomi che non l’aveva pronta!  Ad oggi, 4 dicembre di questo brutto 2013, io non ho ancora la diagnosi della visita di controllo del 27 settembre, fatta dallo stesso cardiologo, non so come possano monitorare, il Ministero della sanità, il mio stato di salute e gli effetti del Pradaxa sul sottoscritto, poiché i due cardiologi del San Luigi non si sono mai fatti sentire né so valutare se è ancora il caso che io mi ripresenti in quel reparto.  qui finisce l'accaduto in questo 2013, almeno per ora...

Faccio due conti finali: per potermi diagnosticare la fibrillazione atriale in ospedale a Rivoli, son dovuto correre tre volte con una crisi addosso, per due volte era una “probabile colica renale” la terza fibrillazione atriale e rilevate due ischemie cerebrali pregresse. Mi è stato anche quasi rimproverato di non avergli io mai detto che avevo avuto delle ischemie. Al Mauriziano, durante l’ablazione, scompare la mia cartella clinica in sala operatoria, ritrovata dopo oltre un mese, nell’ufficio del direttore del reparto, solo a seguito della mia denuncia ai carabinieri. Al San Luigi succede tutto quello scritto prima di questa nota. Senza cuore non c'é cura...
Senza cuore non c'é cura... Non è troppo chiedersi: ma se questo è il modo di curare malati di cuore, gravemente a rischio, in ospedali che sono famosi per essere altamente qualificati, quale brutta situazione ci sarà negli altri ospedali? Abbiamo qualche chanche quando ci affidiamo a gente che non sa neppure dove ha la testa, o dobbiamo solo contare sull’imponderabile casuale fortuna di uscirne vivi?


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