Senza madre
di Vincenzo D’Urso
Personaggi:
Il pittore
Il maggiordomo
La pittrice
La domestica
Primo Atto
Scena – Una scala mobile stretta e corta.
Il pittore, mentre sta sulla scala mobile stretta e corta, dipinge su un muro. Il maggiordomo gli porge un caffè.
Il pittore – (Sgarbato) Dunque, questo sarebbe il colore che dovrei assaggiare?
Il maggiordomo – Scusi! Non volevo certo offenderla.
Il pittore – Non c’è nulla di male. Io sono qui che coloro, coloro, coloro. (Spennella. Poi s’inginocchia. S’alzerà con due pennelli in bocca. Pausa. Comincia a dipingere con la bocca)
Il maggiordomo – (Esasperato) Bene. Se spennella, e non vuol assaggiare questo bel caffè, le andrebbe una camomilla?
Il pittore – (Si toglie i pennelli dalla bocca. E dice con enfasi) Certo! L’odore assomiglierebbe ad una lingua gialla che si muove! Non è mica questa brodaglia marrone! Che sembra una strana rana che saltella. Ritoccata e fatta bianca e nera.
Il maggiordomo – Le pare giusto dir così? Potrebbe forse offendersi.
Il pittore – (Stizzito) Offendersi? Sono un gentiluomo, io! Poi, non è un colore che mi serve!
Il maggiordomo – (Fissa il dipinto. Dice incuriosito) Magari al cavallino serve questo caffè. Chissà, potrebbe gradirlo per non addormentarsi.
Il pittore – Lui sta già sonnecchiando, guardi! (Prende una siringa. Pausa. Fissa il quadro. E lo punge) Non gli serve alcuno stimolante. (Con tono piccato) Che fa, quindi? Me la dà questa camomilla, oppure no?
Il maggiordomo – Certo, certo. Ma, dica un po’, non è un cavallo a dondolo?
Il pittore – E a cosa mi serve un oggetto a dandolo?
Il maggiordomo – Potrebbe piacere ai bambini.
Il pittore – (Sorride beffardo) Bambini? Amano l’arte come io amo Dio. Poi non c’è tutta questa urgenza. (Porta la mano al mento. Riflette) … … … (Con entusiasmo) Potrebbe, comunque, diventare a dondolo!
Il maggiordomo – (Con tono umile) Mi scusi. Come potrebbe fare?
Il pittore – Semplice! Mi porti la camomilla, e vedrà come posso!
Il maggiordomo – Solo la camomilla? Non le serve, che so, magari degli strumenti per dipingere?
Il pittore – Ho già i pennelli, non vede? Non sono necessarie tempere, acrilici, olio! (Con tono baldanzoso) Amo i colori invisibili!
Il maggiordomo – (Esce. Dopo poco ritorna. Versa la camomilla in una tazza. Sale sulla scala mobile. Pausa. Porge la tazza al pittore) Le va bene la quantità?
Il pittore – (Guarda dentro la tazza. Esclama) Presto! Mi dia una sella!
Il maggiordomo – (Perplesso) Cosa ci deve fare con una sella?
Il pittore – Guardi! Il cavallo sta scappando. Lo devo acciuffare e sellare!
Il maggiordomo – Ma dove? Il dipinto non s’è mosso.
Il pittore – Qui! Qui! Nella tazza. (La restituisce al maggiordomo)
Il maggiordomo – (Pausa. Guarda nella tazza) Ma non sarà mica il riflesso del dipinto?
Il pittore – (Sussurra) È vero, ha lo stesso colore! Però sul muro è un cavallo capovolto.
Il maggiordomo – (Incuriosito) Saranno fratelli?
Il pittore – Shhh! Io sono il nonno, il padre, il fratello dei cavalli. (Pausa) Loro mica si conoscono!
Il maggiordomo – (Sorpreso) Ah sì? Rischia di ucciderne uno se beve la camomilla, oppure no?
Il pittore – (Si gratta la testa. Pausa. Con tono saccente) Non sia sciocco, mio caro amico. Vede, essenzialmente, seppur se ne uccide uno, ne nascerà sempre un altro. E vuol sapere dove?
Il maggiordomo – (Con disgusto) Non oserà! Mio Dio! È riprovevole! Non si può fare! Ci pensi bene, è una sconceria enorme.
Il pittore – Ho pensato a lungo. E dico che si può fare. (Saltella sulla scala mobile) Non è ovvio? Berrò questa camomilla, e subito dopo sputerò tutto sul cavallo. Così potranno stare insieme. Sì, non c’è dubbio. Potranno vivere la loro vita incondizionatamente. Questo potrà accadere solo se io continuo a saltellare! (Pausa. Speranzoso) Solo così, ne sono quasi certo, potranno far l’amore e giungere ad un amplesso di colori!
Il maggiordomo – Lei non può farlo! Non pensa a quanto potranno soffrire? Sono ancora così piccoli. Non pensa che debbano crescere? La prego, ci pensi bene!
Il pittore – Ormai ho deciso. Sono inamovibile. Pur saltando, ovviamente.
Il maggiordomo – La smetta! È un gesto disgustoso! Non vede che saltare deforma la perfezione? Lei è un mostro! Come osa saltare? No, no. Così, distruggerà le emozioni. Non se ne rende conto? È una vergogna!
Il pittore – (Autoritario) Lei dovrebbe vergognarsi! (Pausa. Iracondo) Non saltando ha una strana somiglianza con la schifezza che ha portato prima. Mi riferisco al caffè. Sì, è un breve urlo di un gufo che s’impicca prima di dormire di giorno. Non se ne rende conto? Quella brodaglia dovrebbe essere impiccata! Bandita, oppure mandata al rogo. È di una natura strana. Un diabolico aroma che assorbe ogni cosa. Anche l’ingenuità dei miei due cavalli. (Continua a saltellare. Pausa. Si riflette nella camomilla. Con dolcezza, rivolge lo sguardo ai cavalli sul muro) Amorini miei, non temete. Presto sarete l’incanto d’ogni occhio!
Il maggiordomo – (Si agita sulla scala mobile. Pausa. Con perplessità) Ma se prima ha detto che era una brodaglia marrone che assomigliava ad una rana. Adesso, perché dice che è un gufo?
Il pittore – (Agitato) Ma sì, certo, certo. È un’ottima domanda. Sì, è proprio ottima. Però, lei studia troppo! Si introduca nei misteri dei suoi segreti privati. È ciò che faccio anche io! Troverà la risposta. Adesso vada via. Mi lasci da solo. A compiere il mio dovere e…
Il maggiordomo – (Interrompe il pittore) Non posso. Ho dimenticato di darle il cucchiaino.
Il pittore – Non servirà. Userò il mio bel pennello. Enigma d’ogni messaggio. (Smette di saltare sulla scala mobile. Scende. Ognuno esce per conto proprio)
Sipario
Secondo Atto
Scena – Una scala mobile stretta e corta.
La pittrice sale sulla scala mobile stretta e corta. Comincia a dipingere su un muro. La cameriera spolvera le scarpe della pittrice, mentre è chinata.
La pittrice – (Timidamente) Stamane ho incontrato un compagno di scuola che non aveva posseduto un nome finora. Agli occhi del padre somiglia a un pittore che parla di sé con le mani.
La domestica – (Sgarbata) Ah sì? È cosa può interessarmi? Io sono uno struzzo che parla col figlio maturo.
La pittrice – L’ho dipinto su uno strano cavallo. Aveva la forza di domare il muro. (cortese) La prego, mi spolveri questa suola di mulo.
La domestica – Lo sa? Mio figlio non ha mai avuto un futuro. Mendicava su strade di chiese abitate da un losco figuro.
La pittrice – (Con sprezzo) Lo dicono in tanti! Ma nessuno lo ha visto! Suo figlio cadere e raccogliere una moneta.
La domestica – (Orgogliosa) Eppure c’è gente che resta a guardare! Come se fosse un nascituro senz’arte.
La pittrice – (Pacata) Possedeva un dialetto un po’ oscuro. Sembrava macchiato con sale mischiato al cianuro.
La domestica – (Iraconda) Non è vero! Lui era soltanto insicuro. (Pacata) Balbettava mentre vendeva preghiere alla gente. Si sentiva un bigliettaio su un treno sicuro.
La pittrice – (Pausa. Si ferma nel dipingere. Osserva il dipinto. Tono pacato) Il cavallo scalcia. Per suo figlio è una micidiale tortura. La sua faccia deforme ammira la bellezza. Non sembra invidiarla. Ha la certezza di una carezza senza madre.
La domestica – (Pausa. Si ferma nello spolverare. Da chinata si tira su. Osserva il dipinto. Tono pacato) Non ha madre. Eppure sono sua madre. È come un regalo appena scartato di cui ti sorprendi. Io non ho mai partorito colori. Lei, invece?
La pittrice – Io non posso avere colori. Sono come un gas che non riceve pittura. (con rammarico) Io invidio quel figlio senza madre. Ha il coraggio di dipingere un cavallo di legno usando dei bastoncini.
La domestica – (Incuriosita) Non saranno mica pennelli? Ah! Quegli strani bozzetti. (Con ribrezzo) Scellerato d’un figlio! Suo padre ne dà il triste permesso di farlo. (Pausa. Si china per proseguire a pulire le scarpe della pittrice.)
La pittrice – (Con sprezzo) Ha anche il permesso? È senza madre, ma con un padre snaturato. È la normalità! (Con disgusto) Che cosa ignobile.
La domestica – (Borbotta) Cosa stabilisce la normalità? Io ho il desiderio di avere un figlio. Quel figlio che non ha madre. Eppure è mio. Ma sembra non esserlo. Mi chiedo il perché.
La pittrice – (Morbosamente) Che la normalità sia anormale è cosa certa. (Continua ad osservare il dipinto. Esprime disgusto) Eppure ora questi colori mi danno il voltastomaco. Sì, forse anche io vorrei essere una figlia senza madre. (Perplessa) Impiccare mia madre? Sarebbe un gesto traditore! Dal momento che sono sangue del suo sangue. No, non posso! Ma potrei impiccarmi io, non crede? Sì, sì, sarebbe la cosa giusta. Ho labbra orribili, essendo bella. E denti bianchissimi, essendo igienista. Persino la morte, tuttavia, potrebbe rendermi beata. (Con sdegno) Come questo dipinto!
La domestica – Ciò che dice è quanto di più normale conosca. (Incuriosita. Pausa. Inorridisce) Guardi le sue scarpe! Mai visto un lerciume così evidente. Lo vede?
La pittrice – (Pausa. Smette di osservare il dipinto. Rivolge lo sguardo sulle scarpe) Non vedo niente.
La domestica – Niente?
La pittrice – Assolutamente niente.
La domestica – Non è impossibile. (Dubbiosa) Forse non è nella stessa posizione di ieri per notare il lerciume. Si è spostata?
La pittrice – (Offesa) Ho una morale, io! Lei si è impadronita dell’argomento! Non posso sopportarlo. Ecco perché non avrà mai un figlio! (Pausa. Rivolge lo sguardo al muro. Resterà muta)
La domestica – Non volevo certo offenderla. (Termina di pulire le scarpe della pittrice. Pausa. Si aggiusta il vestito. Si alza. Tono pacato) Lei non è assolutamente educata. Viviamo in un cosmo che possiede un viso. Cosa certa, che non assomiglia al suo aspetto. Sì, ha dei capelli arancioni e labbra verdi. Le sue mani sono pennelli senza setole. Sì, dei bastoncini di legno. Ha due o forse tre occhi. Un naso di cristallo. Non so se sia una pittrice come lei, (Saccente) ma una cosa è certa: ha un figlio. (Altera) E non si impiccherà come vuole fare lei!
La pittrice – …
La domestica – (Sarcastica) E poi come vorrebbe procedere? Impiccarsi con una corda? Non è da signorine per bene. Magari strozzarsi con le mani. Sarebbe certamente più signorile. È un’impiccagione carnale. Ma poi cosa c’entrano le mani? Non hanno mica una morale, sono cose schifose. Sozzerie inventate da qualche maniaco. Un perverso. E quella unione, poi! (Ribrezzo) Tra collo e mani! (Incrocia le braccia al petto) Brrr, non ci voglio neppure pensare! (Pausa. Riflette. Pausa) … … … (Con euforia) Magari impiccandosi su un tavolo, non trova sia meglio? Non questa scala mobile così inadeguata.
La pittrice – (Interrompe il silenzio. Rivolge lo sguardo stizzito alla domestica. Tono irritato) Questa scala mobile è il mio punto di partenza. Reclama la mia totalità di artista. (Pausa. Riflette. Con tono pacato) Poi, certo, l’espressione di un suicidio ispirerebbe il figlio senza madre. Sì, certamente questo lo condurrebbe a giungere alla nascita di qualcosa, magari dell’idea di possedere una madre. Ma il pensiero di quel cosmo che lei, per giunta, reclama come una soluzione di bellezza, di estetica aggiunta alla coscienza sporca di un peccato, come il suicidio, che possiede persino una prole, (Con sarcasmo) be’, non fa altro che concludere quella strana associazione tra lei e un figlio che ha e non ha.
La domestica – (Saccente) Lei parla di strana associazione tra me e un non figlio, ma si è dimenticata di trattare la questione dell’unione tra lei e il cavallo. In tutto questo, il cosmo può addentrarsi nelle crepe del muro, visitare il mondo in cui vive il quadrupede, e persino cavalcarlo. Lei cosa può fare? Oltre ad assimilare congetture e soluzioni, usare medium o maschere per addolcire il cavallo?
La pittrice – (Offesa. Con tono iracondo) Lei è schiava delle parole. Lei non lucida o pulisce alcunché al di fuori del linguaggio stesso! Confonde il sapere con la sapienza. Mi chiedo chi le abbia dato la licenza del linguaggio! (Con tono scuro) Lei è una domestica con una bocca storta!
La domestica – (Perplessa. Pausa. Scioccata si fa il segno della croce per tre volte) Che ingiuria! Dio! È un peccato carnale e spirituale quello che ha commesso lo sa? (Isterica) Io con una bocca storta, che sporca attrazione! Io non sono mica un circo, sa? Ma magari mi avesse detto donna barbuta, le avrei risposto con garbo e gentilezza. (Tono calmo) Bene, dunque, merita di impiccarsi con una corda, magari affilata come una lama. Così ci rimette la vita anziché l’arte!
La pittrice – (Con tono pacato) Non oso mica impiccarmi. Così assomiglierei a lei e alla sua bocca storta. È un trauma per l’estetica. Quindi, per favore, vada via da questa scala. (Iraconda) E non ritorni mai più! (Morbosamente) La sozzura! La sozzura! È un colpo al cuore vederla su questa scala. Con quella bocca. Impazzisco nel vederla. Lei non ha nulla di nuovo. Nulla di disumano. Lasci questo posto! E non osi specchiarsi, per cortesia. Il povero specchio potrebbe avere un infarto! Ora vada. Non ho più bisogno di lei.
La domestica – (Con tono servile) Così sia. Spero solo che non sia il cavallo a pulirle le scarpe. (Pausa. Scende dalla scala mobile. Esce di scena)
La pittrice – (Entusiasta. Alza le mani verso il cielo) Oh! Santo il cavallo, dall’ala maestosa dipinta di bianco! Possa svegliarsi e nel silenzio candidarsi nel coro di una messa! Il mio pennello brucia! La mia anima scompare. Ora non mi resta altro che scappare. Ché è giunto il momento di incontrare… (Pausa. Porta le mani al petto. Scende dalla scala mobile) l’amato figlio senza madre. (Esce di scena)
Sipario
Terzo Atto
Scena – Una scala mobile stretta e corta.
La pittrice sale sulla scala mobile stretta e corta. Il pittore sale sulla stessa scala mobile stretta e corta.
Il pittore – (Impaziente) Hai visto?
La pittrice – (Aguzza la vista sul dipinto. Tono delicato) Sì, non ho parole. Alla fine l’ho trovata.
Il pittore – (Perplesso) Che cosa?
La pittrice – (Sospira. Voce sottile) L’eternità nell’arte.
Il pittore – (Calmo) Sì, l’eternità è quella comunione d’invocazioni e di sacrifici. Io lo sento. Abbiamo forse trovato il figlio senza madre?
La pittrice – Sì. È quel cavallo dipinto. Libero. Come lo siamo noi che siamo artisti. Siamo liberi di osservare le nostre prigioni.
Il pittore – Magari di contemplare il mondo che non ha occhi e udito. (Mesto) È ormai tutto in bianco e in nero!
La pittrice – Io non ho mai visto il mare. Non ho mai visto il sole. Ascolto le parole ma non i suoni. (Delusa) Io voglio il mare. Io voglio il sole. Io voglio essere.
Il pittore – Io sarò l’ombra che salta nell’alba. Sopravviverò alle ragioni umane che non hanno scopo. Forse sarò un’artista malato tra coloro che sono sani. E allora sarò il paziente che ha bisogno di cure. (Triste) Pensi che potrò sanarmi in questo marciume?
La pittrice – (Sospira. Tono nostalgico) Quale altro dipinto non avrà i suoi creatori? Non riuscirai mai a sanarti. Non più. Noi siamo morti. Desideriamo, bramiamo, tutto ciò che in vita non abbiamo potuto fare.
Il pittore – (Perplesso. Tono impaurito) Come? Noi siamo dei defunti? Ma la scala mobile? E quei servitori che c’hanno accolti nella conversazione? Come siamo morti? Non è possibile! Io ho ossa e carne. Non mi sento uno spirito. (Grida) Non è possibile! Stai mentendo!
La pittrice – No, la domestica me l’ha confessato. Il cosmo di cui ha parlato è il nostro tormento. Non vedi? Sei cieco? Viviamo continuamente su questa scala. È la nostra punizione. Staremo qui sin quando la nostra vanità verrà meno. E allora potremo forse ricongiungerci al cavallo dipinto. Io sono morta impiccata mentre dipingevo. Tu eri mio fratello. E appena mi hai vista penzolare, hai deciso anche tu di farla finita. Ti sei soffocato con i pennelli.
Il pittore – (Incredulo) E perché io non ho memoria di questo? Siamo fratelli? E i nostri genitori? (Tono triste) Chissà come avranno reagito alla nostra morte.
La pittrice – Tu non sei vanitoso. Tu sei presuntuoso. In vita pensavi di sapere ogni cosa. Qualcuno ti avrà voluto punire con l’oblio. Neanche io ricordavo sino ad ora. Ma ci sono certi avvenimenti che ti fanno ritornare in te, anche da morto. Come la morte dei nostri genitori quando eravamo piccoli, ad esempio. Io ho visto nostra madre. Tu avrai incontrato nostro padre, probabilmente. Ci hanno rivelato chi eravamo e chi siamo adesso.
Il pittore – E chi siamo? Pittori? Artisti?
La pittrice – (Tono quieto) Siamo persone che hanno perso la propria veggenza. Non abbiamo né parvenza del presente né del futuro. Il mondo marcio oscura i nostri sensi. Io credo che la nostra vita d’artista abbia voluto rivelarsi attraverso la dimenticanza. E questa è percepita come al di là di ogni sregolatezza dei sensi. Non esiste più la veggenza. Le visioni sono morte. Sono rinchiuse in una tomba, che si trova oltre il pensiero umano.
Il pittore – (Pacato) Pensi che potremo mai riconquistarle? Un pittore come farà a dipingere senza visioni? Non abbiamo speranze.
La pittrice – Verrà un giorno un Orfano, come noi, che riuscirà a riordinare i sensi. Allora saremo liberi.
Il pittore – Lo pensi sul serio?
La pittrice – Sì, lui sovvertirà il mondo marcio. Perché si porrà al di là della sregolatezza dei sensi. Riordinerà il caos in modo perfetto. E sino ad allora, ci conviene attendere osservando la libertà: il cavallo che galoppa nel dipinto. (I due fratelli si abbracciano e piangono)
Sipario
Fine