Senza più regole
13 febbraio 2015 di Titti De Simeis
G. Courbet, I lottatori, 1852
Una volta si giocava agli indiani, agli sceriffi o guardie e ladri. Ma si giocava, si ‘faceva finta’. Oggi si fa sul serio. Nel Regno Unito si sta diffondendo il Punch 4 Punch: i ragazzi si incontrano per prendersi a pugni, fino ad ammazzarsi.
Un ventitreenne ha perso la vita nello scontro fisico con un ventenne, il quale, ai primi segni di cedimento del ‘rivale’ non si è fermato, anzi, gli ha inferto il colpo definitivo, mandandolo in coma. Niente da fare in ospedale. Troppo tardi. Il ‘vincitore’ è stato accusato di omicidio: il premio, dunque, è stata una condanna. Sembra la trama di un film, invece, è successo davvero. Ora il panico è alle porte. Si teme che il contagio sia imminente, in tutto il mondo. E non a torto. Certe mode fanno presto a trovare passerelle e indossatori che le sappiano diffondere.
Ci siamo. Siamo di fronte al nuovo grido di aiuto da parte delle giovani generazioni. Ancora un riflettore acceso, ancora tante pagine da scrivere. Il loro modo di attirare la nostra attenzione sta diventando, oltremodo, preoccupante. Cosa vogliono dirci? I messaggi che ci hanno lanciato finora sono stati moltissimi: abuso di droghe, alcool, prostituzione, bullismo ed ora questa nuova follia. Le nostre risposte sono state non sempre all’altezza.
Non bisogna, soltanto, colpevolizzare i nostri figli, ma cercare i nostri errori, i punti di non ritorno da cui è iniziato il loro precipizio. Il mondo degli adulti è in pieno naufragio, come può essere un attracco sicuro?
Un tempo i genitori erano famiglia, casa, calore, tavole attorno a cui ritrovarsi, confidenze, consigli, valori tramandati e da non tradire. Oggi i genitori sono, spesso, assenti e in case diverse, separati e in città diverse, zitti per lavoro, per stanchezza, per tempo che manca o per nuovi amori da inseguire in una chat. Si è accesa la riserva del nostro equilibrio. Siamo fuori autonomia. Cosa deve ancora succedere? Smettiamo di punirli per il male che noi stessi facciamo loro. Li abbiamo messi al mondo ma non siamo stati capaci di accompagnarli, nel mondo, di guidarli, di stare accanto alle loro cadute, perché, dubbi, paure, lasciandoli davanti ad un computer, ad un televisore, ad una play station, ad un cellulare dai giochi strepitosi. Tutto questo pur di stare tranquilli con le nostre frenesie. Non voglio generalizzare, è ovvio che moltissime realtà sono fuori da questa cerchia, per fortuna. Ma troppe, ancora, no. Se i ragazzi bevono, se ricorrono a bravate oltremisura per divertirsi, se usano droghe per poter star bene anche solo in una discoteca, chiediamoci, una buona volta, perché? E chiediamo loro di aiutarci a trovare la falla e a ricucirla insieme, a risolvere insieme il nostro sbandamento. I giovani sono ciò che noi costruiamo, in cui li facciamo vivere e che, il più delle volte, è giusto solo per noi. Voler fare le cose per il loro bene non sempre corrisponde alle loro aspettative. Essi hanno la mente altrove, lontana da noi, vicina a desideri e aspirazioni che puntano al futuro. Non ci chiedono nulla se non un aiuto a realizzarli, a raggiungere quelle mete con il nostro sostegno ed entusiasmo. Impegnamoci veramente, prima di giudicarli.
E, quando ricorrono ad un pugno che li mette knockout per farsi giustizia o sentirsi ‘forti’, preoccupiamoci seriamente, perché, stavolta, avranno preferito la deriva alla conquista, se pur faticosa, della loro vita.