Uno dei quesiti più frequenti che ogni sano genitore si pone (o si dovrebbe porre) quando si approssima l’evento della separazione, è legato alla possibile condizione di malessere che questa scatenerà nel figlio: “La nostra separazione sarà traumatica per lui?”.Domanda dalle cento pistole, viste le molteplici configurazioni che può assumere tale evento e le diverse possibili modalità di gestirlo e percepirlo strettamente legate alle individualità in gioco. Tuttavia, pur tenendo conto che ogni situazione fa caso a sé, cercheremo in questo nuovo articolo, scritto con Stella Morana, di fornire alcune brevi ma esplicative risposte.Anzitutto, è necessario partire dal presupposto che, senza margini di dubbio, la separazione sarà un momento difficile per i figli, come lo è anche per i genitori, e che una certa quota di sofferenza sarà inevitabile. Un figlio, infatti, vorrebbe sempre vedere i propri genitori amarsi e vivere “per sempre felici e contenti”, come in ogni fiaba che si rispetti, mentre la separazione comporta, ovviamente, la rottura di questa aspettativa. La famiglia, insomma, è un complesso sistema, formato da soggetti che tra di loro sono strettamente interrelati, e non si può pensare di scomporla senza aspettarsi delle conseguenze su ognuno dei suoi protagonisti, i quali dovranno a loro volta riconfigurarsi per riconquistare un’adeguata omeostasi, compito che risulterà più difficile, tanto più il soggetto è debole e privo di strumenti. Insomma, ça va sans dire: i figli non sono spettatori passivi delle vicende dei propri genitori, essi partecipano alla separazione e, insieme ai genitori, ne sono i protagonisti, pur non avendola scelta! Il problema è, semmai, che tipo di protagonismo, in qualità di genitori, intendiamo fargli esperire quando ci si approssima alla separazione. V’è, infatti, un protagonismo passivo, in cui si commette l’errore di non parlarne, di credere che i figli non capiscano, che tanto basta, chessò: litigare in silenzio, non rendere evidente la crisi, comportarsi da bravi genitori, nonostante l’uomo e la donna che vestono quei panni sono distanti tra loro milioni di chilometri e il gaio sorriso del genitore che compare sui loro volti è poco più di una maschera funebre che nasconde il rancore, l’odio di due ex-amanti rabbiosi.V’è poi, invece, un protagonismo fin troppo attivo, dove la coppia non risparmia ai figli scene di conflitto o addirittura di violenza, ma anche (e non necessariamente insieme) situazioni in cui il bambino è usato come strumento di vendetta, rivendicazione, sfida, contrapposizione, conquista, rivalsa, trasformandolo in un vero e improprio giudice che, spesso, finirà per pronunciare la propria condanna contro se stesso.Vi è poi, infine, in questa classifica decisamente riduzionista, il solo protagonismo che -crediamo- si debba far vivere ai figli quando i loro genitori stanno per separarsi, ed è quello di farli partecipare all'evento separativo: mettendoli al corrente, col più largo anticipo possibile, di ciò che sta accadendo; aiutandoli a comprendere, attraverso l’uso di un linguaggio comprensibile alla loro età, ma soprattutto attraverso azioni corrispondenti che, dove finisce la coppia di coniugi, non finisce la coppia di genitori (perché l’essere genitori, come l’essere figli, è un unione indissolubile); facendogli sentire che, di ciò che sta accadendo, loro non hanno colpa (come spesso -invece- tendono a pensare i bambini) e, non per ultimo, operando affinché (nonostante la rabbia, la delusione e il dolore) ognuno dei due coniugi diventi il principale protettore e sostenitore dell’altro genitore, salvaguardando così agli occhi dei bimbi l’imprescindibile figura del padre e della madre. In questo senso, l’esperienza e le tecniche del mediatore famigliare possono davvero fare la differenza, accompagnando i genitori a scegliere le parole, le azioni e le strategie più efficaci per far vivere ai figli questo sano protagonismo, affinché possano attraversare, nel miglior modo possibile, l’inevitabile fatica di un momento che risulterà, alla fine, tanto importante della loro vita.
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Uno dei quesiti più frequenti che ogni sano genitore si pone (o si dovrebbe porre) quando si approssima l’evento della separazione, è legato alla possibile condizione di malessere che questa scatenerà nel figlio: “La nostra separazione sarà traumatica per lui?”.Domanda dalle cento pistole, viste le molteplici configurazioni che può assumere tale evento e le diverse possibili modalità di gestirlo e percepirlo strettamente legate alle individualità in gioco. Tuttavia, pur tenendo conto che ogni situazione fa caso a sé, cercheremo in questo nuovo articolo, scritto con Stella Morana, di fornire alcune brevi ma esplicative risposte.Anzitutto, è necessario partire dal presupposto che, senza margini di dubbio, la separazione sarà un momento difficile per i figli, come lo è anche per i genitori, e che una certa quota di sofferenza sarà inevitabile. Un figlio, infatti, vorrebbe sempre vedere i propri genitori amarsi e vivere “per sempre felici e contenti”, come in ogni fiaba che si rispetti, mentre la separazione comporta, ovviamente, la rottura di questa aspettativa. La famiglia, insomma, è un complesso sistema, formato da soggetti che tra di loro sono strettamente interrelati, e non si può pensare di scomporla senza aspettarsi delle conseguenze su ognuno dei suoi protagonisti, i quali dovranno a loro volta riconfigurarsi per riconquistare un’adeguata omeostasi, compito che risulterà più difficile, tanto più il soggetto è debole e privo di strumenti. Insomma, ça va sans dire: i figli non sono spettatori passivi delle vicende dei propri genitori, essi partecipano alla separazione e, insieme ai genitori, ne sono i protagonisti, pur non avendola scelta! Il problema è, semmai, che tipo di protagonismo, in qualità di genitori, intendiamo fargli esperire quando ci si approssima alla separazione. V’è, infatti, un protagonismo passivo, in cui si commette l’errore di non parlarne, di credere che i figli non capiscano, che tanto basta, chessò: litigare in silenzio, non rendere evidente la crisi, comportarsi da bravi genitori, nonostante l’uomo e la donna che vestono quei panni sono distanti tra loro milioni di chilometri e il gaio sorriso del genitore che compare sui loro volti è poco più di una maschera funebre che nasconde il rancore, l’odio di due ex-amanti rabbiosi.V’è poi, invece, un protagonismo fin troppo attivo, dove la coppia non risparmia ai figli scene di conflitto o addirittura di violenza, ma anche (e non necessariamente insieme) situazioni in cui il bambino è usato come strumento di vendetta, rivendicazione, sfida, contrapposizione, conquista, rivalsa, trasformandolo in un vero e improprio giudice che, spesso, finirà per pronunciare la propria condanna contro se stesso.Vi è poi, infine, in questa classifica decisamente riduzionista, il solo protagonismo che -crediamo- si debba far vivere ai figli quando i loro genitori stanno per separarsi, ed è quello di farli partecipare all'evento separativo: mettendoli al corrente, col più largo anticipo possibile, di ciò che sta accadendo; aiutandoli a comprendere, attraverso l’uso di un linguaggio comprensibile alla loro età, ma soprattutto attraverso azioni corrispondenti che, dove finisce la coppia di coniugi, non finisce la coppia di genitori (perché l’essere genitori, come l’essere figli, è un unione indissolubile); facendogli sentire che, di ciò che sta accadendo, loro non hanno colpa (come spesso -invece- tendono a pensare i bambini) e, non per ultimo, operando affinché (nonostante la rabbia, la delusione e il dolore) ognuno dei due coniugi diventi il principale protettore e sostenitore dell’altro genitore, salvaguardando così agli occhi dei bimbi l’imprescindibile figura del padre e della madre. In questo senso, l’esperienza e le tecniche del mediatore famigliare possono davvero fare la differenza, accompagnando i genitori a scegliere le parole, le azioni e le strategie più efficaci per far vivere ai figli questo sano protagonismo, affinché possano attraversare, nel miglior modo possibile, l’inevitabile fatica di un momento che risulterà, alla fine, tanto importante della loro vita.
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