“Il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero”. Se una frase simile l’avessimo scritta noi ci saremmo sentiti dare, come sempre, degli “anticlericali estremisti” ma se, come in questo caso, a pronunciarla durante un’omelia, è il datore di lavoro del cardinale Sepe, e degli altri colleghi prelati che hanno trasformato la Chiesa in Spa, dare dell’anticlericale al Papa la vediamo onestamente complicata. È successo ieri, durante l’ordinazione presbiteriale di 14 nuovi preti, e non crediamo sia un caso se il Papa ha avvertito il bisogno di chiarire ancora una volta il proprio pensiero all’indomani dell’iscrizione nel registro degli indagati per corruzione, del cardinale Crescenzio Sepe, vescovo di Napoli ed ex Prefetto di Propaganda Fide. Da tempo, l’ex ministro Pietro Lunardi e il cardinale Sepe erano nel mirino dei pm Sergio Sottani e Alessia Tavernesi, magistrati di Perugia preposti alle indagini sugli affari della “cricca” ma, la decisione di iscrivere formalmente l’alto prelato nel registro, sapendo perfettamente quali ripercussioni ci sarebbero state e non solo a livello mediatico, è arrivata dopo aver preso atto di una relazione della Corte dei Conti nella quale si parla di finanziamento “improprio” da parte dello Stato, dei lavori di ristrutturazione del palazzo seicentesco in Piazza di Spagna, sede di Propaganda Fide. La Corte dei Conti, in soldoni, si è chiesta: “Ma se all’ingresso del palazzo c’è scritto ‘Zona extraterritoriale’, ed è quindi territorio straniero, come può lo Stato italiano finanziarne il restauro?”. Compresa finalmente la ragione per la quale Berlusconi punta all’eliminazione dell’organismo di controllo dei conti dello Stato, reo di porre domande imbarazzanti, cerchiamo di capire quello che è successo. Nel 2005 Pietro Lunardi, allora ministro delle Infrastrutture, sottoscrisse insieme al suo collega dei Beni culturali Rocco Buttiglione, il decreto per il finanziamento del restauro del palazzo di proprietà di Propaganda Fide. Il finanziamento era stato concesso perché, nel progetto originario, l’edificio doveva essere adibito a “pinacoteca”, rispondendo quindi ai requisiti previsti per i finanziamenti destinati ai beni di interesse artistico e culturale. Ma, a parte qualche poster di papa Wojtyla con il “wapostan wiyaka” in testa, di quadri neppure l’ombra. Il palazzo divenne la sede amministrativa di Propaganda Fide e finì per ospitare, invece delle tele, squallide ed antiestetiche scrivanie. E chi si occupò del restauro? Un nome a caso, Diego Anemone, che riuscì così a mettere piede (e mani) anche nel business delle ristrutturazioni dell’immenso patrimonio immobiliare della Congregazione. La storia del palazzo seicentesco, secondo i magistrati di Perugia, sarebbe la conferma dell’esistenza di un “patto di corruzione” esistente fra l’ex ministro Lunardi, il cardinale Sepe, l’ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici Balducci e l’onnipresente Diego Anemone. Che l’eminentissimo cardinale sia stato tirato in ballo da Guido Bertolaso per la storia dell’appartamento di Via Giulia, è solo un caso che conferma, però, la propensione di Anemone a far regali all’insaputa dei beneficiari, e di Bertolaso che, pur di trovare giustificazioni alle sue vicende poco chiare, non esiterebbe a tirare in ballo perfino il padreterno. In vista del prossimo incontro con i magistrati perugini che si recheranno a Napoli per ascoltarlo, il cardinale Sepe ha già fatto sapere che collaborerà in toto con i giudici aggiungendo però (con un tono della voce decisamente sommesso), “avvalendomi della prerogative diplomatiche previste dal Concordato”, una chiosa che in Italia non fa più scandalo, visto che di prerogative si avvalgono tutti e in qualsiasi circostanza e che, laddove non esistono (le prerogative), questo governo le crea per decreto. C’è da dire che per portare la documentazione contenuta nel fascicolo d’indagine, i magistrati saranno costretti a noleggiare (a loro spese) un tir considerato che dentro ci saranno: il pronunciamento della Corte dei Conti, i contratti trasmessi dal ministero delle Infrastrutture, la documentazione sequestrata all’imprenditore Diego Anemone, i riscontri investigativi, il testo di un’intervista rilasciata da Pietro Lunardi a Repubblica e perfino un servizio delle Iene girato nella sede di Propaganda Fide nel quale cercano inutilmente di visitare una pinacoteca che esiste solo sulla carta ma per la quale sono stati sborsati due milioni di euro. Per la prima volta nella nostra vita comprendiamo lo stato d’animo di un Papa costretto a difendersi, e a difendere la Chiesa, prima dai preti pedofili e poi da quelli affaristi malati di protagonismo. Una vecchiaia tanto tribolata papa Ratzinger non se la sarebbe mai aspettata.
Magazine Società
Sepe, Lunardi, Balducci, Anemone e Bertolaso. Troppi per un tresette con il morto.
Creato il 21 giugno 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
“Il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero”. Se una frase simile l’avessimo scritta noi ci saremmo sentiti dare, come sempre, degli “anticlericali estremisti” ma se, come in questo caso, a pronunciarla durante un’omelia, è il datore di lavoro del cardinale Sepe, e degli altri colleghi prelati che hanno trasformato la Chiesa in Spa, dare dell’anticlericale al Papa la vediamo onestamente complicata. È successo ieri, durante l’ordinazione presbiteriale di 14 nuovi preti, e non crediamo sia un caso se il Papa ha avvertito il bisogno di chiarire ancora una volta il proprio pensiero all’indomani dell’iscrizione nel registro degli indagati per corruzione, del cardinale Crescenzio Sepe, vescovo di Napoli ed ex Prefetto di Propaganda Fide. Da tempo, l’ex ministro Pietro Lunardi e il cardinale Sepe erano nel mirino dei pm Sergio Sottani e Alessia Tavernesi, magistrati di Perugia preposti alle indagini sugli affari della “cricca” ma, la decisione di iscrivere formalmente l’alto prelato nel registro, sapendo perfettamente quali ripercussioni ci sarebbero state e non solo a livello mediatico, è arrivata dopo aver preso atto di una relazione della Corte dei Conti nella quale si parla di finanziamento “improprio” da parte dello Stato, dei lavori di ristrutturazione del palazzo seicentesco in Piazza di Spagna, sede di Propaganda Fide. La Corte dei Conti, in soldoni, si è chiesta: “Ma se all’ingresso del palazzo c’è scritto ‘Zona extraterritoriale’, ed è quindi territorio straniero, come può lo Stato italiano finanziarne il restauro?”. Compresa finalmente la ragione per la quale Berlusconi punta all’eliminazione dell’organismo di controllo dei conti dello Stato, reo di porre domande imbarazzanti, cerchiamo di capire quello che è successo. Nel 2005 Pietro Lunardi, allora ministro delle Infrastrutture, sottoscrisse insieme al suo collega dei Beni culturali Rocco Buttiglione, il decreto per il finanziamento del restauro del palazzo di proprietà di Propaganda Fide. Il finanziamento era stato concesso perché, nel progetto originario, l’edificio doveva essere adibito a “pinacoteca”, rispondendo quindi ai requisiti previsti per i finanziamenti destinati ai beni di interesse artistico e culturale. Ma, a parte qualche poster di papa Wojtyla con il “wapostan wiyaka” in testa, di quadri neppure l’ombra. Il palazzo divenne la sede amministrativa di Propaganda Fide e finì per ospitare, invece delle tele, squallide ed antiestetiche scrivanie. E chi si occupò del restauro? Un nome a caso, Diego Anemone, che riuscì così a mettere piede (e mani) anche nel business delle ristrutturazioni dell’immenso patrimonio immobiliare della Congregazione. La storia del palazzo seicentesco, secondo i magistrati di Perugia, sarebbe la conferma dell’esistenza di un “patto di corruzione” esistente fra l’ex ministro Lunardi, il cardinale Sepe, l’ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici Balducci e l’onnipresente Diego Anemone. Che l’eminentissimo cardinale sia stato tirato in ballo da Guido Bertolaso per la storia dell’appartamento di Via Giulia, è solo un caso che conferma, però, la propensione di Anemone a far regali all’insaputa dei beneficiari, e di Bertolaso che, pur di trovare giustificazioni alle sue vicende poco chiare, non esiterebbe a tirare in ballo perfino il padreterno. In vista del prossimo incontro con i magistrati perugini che si recheranno a Napoli per ascoltarlo, il cardinale Sepe ha già fatto sapere che collaborerà in toto con i giudici aggiungendo però (con un tono della voce decisamente sommesso), “avvalendomi della prerogative diplomatiche previste dal Concordato”, una chiosa che in Italia non fa più scandalo, visto che di prerogative si avvalgono tutti e in qualsiasi circostanza e che, laddove non esistono (le prerogative), questo governo le crea per decreto. C’è da dire che per portare la documentazione contenuta nel fascicolo d’indagine, i magistrati saranno costretti a noleggiare (a loro spese) un tir considerato che dentro ci saranno: il pronunciamento della Corte dei Conti, i contratti trasmessi dal ministero delle Infrastrutture, la documentazione sequestrata all’imprenditore Diego Anemone, i riscontri investigativi, il testo di un’intervista rilasciata da Pietro Lunardi a Repubblica e perfino un servizio delle Iene girato nella sede di Propaganda Fide nel quale cercano inutilmente di visitare una pinacoteca che esiste solo sulla carta ma per la quale sono stati sborsati due milioni di euro. Per la prima volta nella nostra vita comprendiamo lo stato d’animo di un Papa costretto a difendersi, e a difendere la Chiesa, prima dai preti pedofili e poi da quelli affaristi malati di protagonismo. Una vecchiaia tanto tribolata papa Ratzinger non se la sarebbe mai aspettata.
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