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Seppellitemi in piedi

Da Silviapare
Seppellitemi in piediRiprendo l'argomento "zingari" (e uso questo termine ben sapendo che non è politicamente corretto: i nomi delle etnie presenti in Italia sono rom e sinti. Il nome "nomadi" con cui vengono genericamente chiamati è invece colpevolmente sbagliato e fuorviante: secondo Wikipedia (e non solo), "I rom in Italia spesso vengono chiamati nomadi, benché la maggior parte di loro voglia radicarsi in un territorio (...). La definizione, che contiene una “promessa della temporaneità e della estraneità della comunità dai residenti” costituisce un nesso inscindibile con la discriminazione che subiscono gli 'zingari'. La Commissione Europea contro il Razzismo e l'Intolleranza, nei suoi 'rapporti sull'Italia', ha invitato diverse volte ad abbandonare, nelle 'politiche a riguardo di rom e sinti', il 'falso presupposto che i membri di tali gruppi siano nomadi', in base ai quali viene attuata 'una politica di segregazione dal resto della società', con l'istallazione di 'campi nomadi', concepiti in base al principio della presenza temporanea dei rom, in molti casi senza accesso ai servizi più basilari, favorendo la deresponsabilizzazione delle amministrazioni locali dal dover fornire servizi scolastici e sociali finalizzati all'integrazione.") per segnalare un libro molto bello, già a partire dal titolo: Bury Me Standing di Isabel Fonseca, uscito nel 1996. Si tratta di un reportage in cui l'autrice racconta dei quattro anni da lei vissuti con le comunità zingare dell'Europa orientale, facendo luce su un mondo pressoché sconosciuto e spesso disprezzato.
Seppellitemi in piedi
In italiano il libro si intitola Seppellitemi in piedi ed è tradotto da Maura Pizzorno. Così viene descritto sul sito dell'Associazione Italia-Bulgaria: "'Seppellitemi in piedi. Sono restato in ginocchio per tutta la vita': è l'appello che uno zingaro, stanco delle vessazioni a cui il suo popolo è sottoposto, rivolge a Isabel Fonseca, giunta al termine di un viaggio tra le comunità rom dell'Europa dell'Est, alla scoperta di tante diverse realtà. Una ricerca itinerante presentata al lettore sotto forma di diario: dal ghetto dei rom albanesi alla situazione di relativo benessere conquistata dagli zingari bulgari, alle vere e proprie persecuzioni subite in Romania, dove le difficili condizioni di vita hanno ulteriormente identificato questo popolo con lo straniero, il diverso, l''altro' da combattere. L'universo che ci viene rivelato appare nascosto e indecifrabile per un 'gajo' (un non zingaro): i rom non si riconoscono in una storia collettiva da tramandare, ma in una serie di miti e leggende in cui la verità è semplicemente la versione più accattivante di un fatto forse accaduto. Il passato è narrativizzato e confuso con il presente, e la memoria storica, inesistente, lascia il posto all'affabulazione. L'identità non deriva quindi dall'appartenenza a un popolo, ma piuttosto dall'identificazione con piccoli clan, dalla lingua più o meno condivisa, il 'romane', e da usanze e rituali che escludono l'esterno come impuro, rendendolo la disinformazione dei 'gaje' un punto di forza e coesione. Le foto che accompagnano il testo sono la finestra a cui ci affacciamo per conoscere il volto di una comunità: il Kinostudio, il ghetto albanese nel quale vive la famiglia Duka; Antoinette, una rom bulgara che da sempre vorrebbe appartenere al mondo 'bianco'; e la tredicenne Emilia, nel giorno del suo 'ceiz', la presentazione dei regali per il suo matrimonio; o la famiglia di Luciano, il bambino morto per non essere stato curato dai medici 'gaje' rumeni."

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