di Daniela Piazzalunga
«L’odio verso la donna, insito nell’uomo, si esacerba nel momento in cui la donna esercita anche una qualche forma potere», afferma un amico per spiegarmi come, secondo lui, il potere nelle mani di una donna possa essere due volte odiato: odio verso il potere in sé, e odio verso la donna che non dovrebbe detenerlo. Ciò non accade, invece, se la donna «mantenendo un basso profilo, si occupa di cose che per l’uomo “attengono alla donna”, la famiglia, i figli, e quindi non è odiata dall’uomo».
Potrebbe trattarsi di uno stimolante dibattito di carattere meramente intellettuale, se non sapessi che ha effetti concreti nella vita di ogni donna, di ogni giorno. Ma prima ancora di addentrarmi nella discussione in merito ad una diversa distribuzione del potere tra i sessi, le ultime parole mi colpiscono per la loro inconsapevole falsità.
Quando la donna mantiene un basso profilo, non è odiata dall’uomo, mi dicono. E mi scorrono nella mente immagini, racconti, numeri che significano persone: si stima che una donna su tre, in Italia, sia stata vittima di violenze fisiche o sessuali da parte di un uomo. Che una su dieci abbia subito violenze dall’ex compagno o dall’attuale, e di queste oltre il 90% non abbia sporto denuncia e più del 30% non ne abbia mai neppure parlato con nessuno.*
In Serbia, per la prima volta, si sta facendo largo nella coscienza pubblica l’atrocità di un fenomeno inusuale e aberrante. Si tratta di donne due volte vittime, sopravvissute ad anni di violenze domestiche, che sono state incarcerate per aver ucciso i loro partner, con condanne fino a 15 anni.
Vesna Nikolic Ristanovic, direttrice del Viktimološko društvo Srbije (VDS, Società di vittimologia della Serbia**) , afferma che, tra le incarcerate, una donna su 10 è stata condannata per aver ucciso il partner dopo anni di violenze in famiglia. Un dato allarmante, soprattutto se si considera che fino a pochissimo tempo fa non esisteva nessuna attenuante e le sentenze avevano la stessa durata di altri gravi omicidi, senza tener conto delle torture che le donne stesse avevano subito né delle loro condizioni psicologiche.
Secondo le statistiche di VDS, oltre la metà delle donne serbe ha vissuto l’anno scorso fenomeni di violenza familiare, e 44 donne hanno perso la vita in conseguenza alle violenze subite da parte del partner.
Nel 2011, 16 donne, quasi tutte tra i 60 e i 70 anni, colpevoli di aver ucciso i loro compagni che le avevano maltrattate per tutta la vita, sono state mandate al Centro di Correzione Penale di Pozarevac, unica struttura di questo tipo esistente in Serbia.
Il rischio ulteriore è che queste donne, che devono convivere con le esperienze traumatiche della violenza domestica e con il loro crimine, siano ulteriormente stigmatizzate una volta uscite dal carcere, e nuovamente vittime.
Per questi motivi VDS, in collaborazione con alcune strutture governative, ha dato il via ad un programma che mira innanzitutto ad informare i giudici in merito agli impatti dei maltrattamenti e alle possibili conseguenze, che ha portato ad una prima sentenza – di due anni e mezzo – mitigata in ragione degli abusi subiti. Inoltre l’organizzazione non governativa ha messo in atto azioni di sostegno e per favorire il reinserimento delle donne nella società una volta fuori dal carcere.
Anche se la Serbia è ancora un paese tradizionale e patriarcale, dove difficilmente i segreti escono dalle mura familiari, sia nel 2010 sia nel 2011 c’è stato un aumento del 30% dei casi denunciati rispetto all’anno precedente. Non si tratta necessariamente di un aumento degli abusi, ma più probabilmente di una maggior consapevolezza tra la gente.
E ancora mi martella nella testa la frase di chi crede che la donna, quando mantiene un basso profilo, non è odiata dall’uomo.
Fonte: IPS news
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* dati riportati nel rapporto ISTAT (2008) “La violenza contro le donne”. Per informazioni più dettagliate sulla violenza contro le donne in Italia si rimanda al sito ZeroViolenzaDonne.it