Mentre si fanno sempre più insistenti le voci che Boris Tadic, presidente uscente della Serbia, sconfitto ale urne da Tomislav Nikolic, possa diventare il nuovo primo ministro di Belgrado, proponiamo questo articolo della celebre giornalista serba Jasmina Tešanović che cerca di spiegare i motivi della vittoria dei nazionalisti alle recenti elezioni. Secondo alcuni la nomina di Tadic a premier fungerebbe da contraltare al radicalismo di Nikolic, è possibile che a caldeggiarla sia proprio quella comunità internazionale rimasta imbarazzata dalla vittoria di Nikolic.
di Jasmina Tešanović
traduzione dall’inglese di Filip Stefanović
Contro ogni probabilità, contro ogni previsione, il partito radicale di destra in Serbia ha vinto le elezioni presidenziali. Il candidato moderato democratico pro-europeo, il beniamino delle democrazie occidentali, ha perso, e non di poco.
Sono state offerte diverse spiegazioni per questo sorprendente esito elettorale:
1) bassa affluenza al secondo turno delle elezioni, perché i cittadini della Serbia sono sfiaccati dalla depressione economica, dalla corruzione e non credono a nessun leader politico.
2) Un boicottaggio delle elezioni che è stato auspicato da qualche piccolo intellettuale e partito progressista, con l’avviso: state attenti voi al potere, possiamo buttar giù chiunque, buono o cattivo, col NON votare.
3) Un cambiamento nell’atteggiamento della popolazione serba, che vuole davvero un nazionalista radicale alla guida quando la Serbia deve affrontare un’integrazione dura agli standard della comunità internazionale.
Questo partito oggi al potere era una volta guidato dal famoso Šešelj, al momento in prigione all’Aja. Quando le guerre sono svanite, il partito ha cambiato programma: sono diventati pro-europei, avendo capito che erano pressoché uguali a molti altri partiti della moderna estrema destra europea. Il neoeletto presidente della Serbia era un direttore di cimitero. Nel suo primo discorso, ha immediatamente promesso una linea dura sia negli affari interni che esteri.
Vent’anni fa il presidente eletto era un sostenitore della guerra attiva in Croazia, Bosnia e Kosovo. Dieci anni fa ha “previsto” l’assassinio del premier della Serbia, il leggendario Zoran Đinđić. La previsione si sarebbe avverata nel marzo 2003, e l’assassinio di Đinđić sarebbe stato etichettato dal contingente di Šešelj come atto patriottico.
Giusto un paio di giorni fa, un regista coraggioso, Oliver Frljić ha messo in scena in un grande teatro di Belgrado un nuovo spettacolo chiamato “Zoran Đinđić”. La trama di questa provocazione di stile brechtiano era incentrata sull’assassinio di Đinđić, ed era esplicita. Faceva nomi e citava dichiarazioni giornalistiche, di allora e di oggi.
L’iperrealistica opera teatrale ha avuto l’effetto di un mattone contro una finestra chiusa e velata. Degli attori se ne sono andati durante le prove, metà pubblico ha disertato la prima, e politici attivi ai tempi di Đinđić non hanno ritenuto di rispondera agli intervistatori. Ad ogni modo, la madre e la vedova di Đinđić hanno offerto un costante supporto.
La frase: “I suoi figli, Luka e Jovana, devono sapere la verità su chi ha ucciso loro padre, e su chi ha ucciso la Serbia”, ancora rieccheggia nelle orecchie di coloro che hanno assistito allo spettacolo. E non solo!
Nella sua intervista, Oliver Frljić parla apertamente delle pressioni della polizia che ha subito durante la messa in scena dell’opera Đinđić. Dubita che verrà tenuta di nuovo.
La Serbia è sotto choc il giorno dopo le elezioni: le fazioni stanno velocemente rimescolando il mazzo. Cercando di ricostruire un parlamento e un governo, una coalizione compatta e disciplinata della destra nazionalista?