Serie TV: 1992, la serie dalla nostalgia canaglia

Da Strawberry @SabyFrag

Attesissima e molto discussa, 1992 è la serie televisiva nata da un’idea di Stefano Accorsi e trasmessa su Sky Atlantic dal 24 marzo. Ambientata per l’appunto nel 1992, la serie ci racconta i  protagonisti e gli eventi che hanno portato a Tangentopoli e Mani Pulite, la cronostoria romanzata di un’Italia tra Prima e Seconda Repubblica, un passato così vicino da generare ricordi ma che probabilmente non siamo ancora in grado di cogliere nella sua interezza. Stefano Accorsi è il protagonista che insieme al resto del cast, tra cu Miriam Leone, Tea Falco, Guido Caprino, Domenico Diele e Alessandro Roja, ci mostra quei tempi attraverso i loro diversi punti di vista. Una serie dalle aspettative alte, dalle tematiche interessanti, dalle atmosfere amarcord, dai personaggi controversi e ambigui, una prodotto che vuole stabilire un nuovo primato di qualità, dopo Gomorra e Romanzo Criminale, nella storia della fiction italiana, promettendo tanto, ma che non sempre riesce a mantenere tali promesse.

Leonardo Notte (Stefano Acorsi) è un consulente di Pubblitalia ‘80 dal passato misterioso nei movimenti studenteschi e dal grande talento, scelto da Marcello Dell’Utri per dare un nuovo volto alla politica del Paese. Attorno a lui i fatti e gli eventi che hanno caratterizzato quell’epoca: Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi) lavora all’inchiesta di Mani Pulite insieme alla sua squadra, tra cui l’agente di Polizia Luca Pastore (Domenico Diele) che vive l’incubo dell’AIDS, e Rocco Venturi (Alessandro Rioja) ,il quale lavora a fianco di Di Pietro ma appare fin da subito nascondere qualcosa di sospetto; il ricco industriale Michele Mainaghi che vede i suoi affari minacciati dalle vicende politiche e dalle indagini su corruzioni e tangenti in cui naturalmente è coinvolto, che stravolgono anche la sua familiare, inclusa quella della figlia ribelle Bibi Mainaghi (Tea Falco) per la prima volta sola ad affrontare la realtà; la presunta soubrette Veronica Castello (Miriam Leone) che vuole fare Domenica In e diventare una celebrità, disposta a tutto per raggiungere il suo scopo; la Lega Nord di Umberto Bossi che muove i suoi primi passi in politica e arriva in Parlamento, tra le cui fila trova posto anche l’ex militare irruento Pietro Bosco (Guido Caprino), che spera così di dare un senso a una vita senza particolari prospettive e ideali.

1992 è una serie che vuole raccontare molte cose. E in effetti ce ne sarebbero di cose da raccontare di quegli anni che hanno segnato la storia e la politica del nostro Paese, nonché il costume e le idee degli italiani. Nei soli primi due episodi, la serie riversa una gran quantità di informazioni, notizie, personaggi, volti, oggetti e panoramiche di un tempo passato ma non del tutto. L’effetto revival è dietro l’angolo: ci si immerge fin da subito in atmosfere che ricalcano appieno lo spirito dell’epoca e in un attimo siamo con la Cuccarini a cantare “Liberi, liberi…” o a ballare con le ragazze di Non è la Rai. Abiti dai volumi tardo anni ‘80, i primi cellulari enormi, videocassette e i jeans a vita alta con lo zaino Invicta, la gioielleria dorata e il trucco pesante: tutto serve a ricreare un mondo che non c’è più ma di cui viviamo gli strascichi da anni, ricostruendo un’ambientazione che è convincente in tutti i dettagli ma che è al contempo la novità che si genera dalla riscoperta.

Atmosfera, nostalgia e spirito dell’epoca, dunque. Sono le prime parole che vengono in mente quando si comincia a guardare 1992, mettendo in evidenza quello che può apparire il primo obiettivo della serie, quello di essere una finestra sul tempo che ci porta indietro ad eventi che oggi desiderano essere finalmente raccontati. Sono i temi trattati a fare della finestra uno specchio in cui il Paese può riflettersi. Tangentopoli, la corruzione di imprenditori e politici, il potere della televisione sulla società e quello della pubblicità sulla politica, il sesso come merce di scambio per il successo e l’AIDS rappresentato con i tristi stilemi dell’epoca, il federalismo e le nuove forze scese o che stanno per scendere in campo, lo scandalo di Mani Pulite e la desolazione e disillusione che nascono tanto nei colpevoli quanto nelle vittime. Il peso di questi argomenti è notevole e la sceneggiatura cerca di dare spazio a ogni tematica sviluppandole attraverso differenti prospettive e altrettante vicende legate a uno o più personaggi. Eppure si tratta di un’operazione che non riesce per intero, nonostante non manchino i momenti di spicco dove ogni elemento collabora per creare scene di grande impatto, si pensi all’incontro tra Notte e Berlusconi di cui si vedono solo le scarpe nei bagni Fininvest, oppure alla scena in cui Dell’Utri legge della morte di Salvo Lima sugli schermi apposti lungo i corridoi di Publitalia mentre la sigla di Casa Vianello risuona sempre più alta. Per il resto, dai dialoghi scarni tenuti su con frasi ad effetto non sempre brillanti alle lacune narrative riempite con cliché e luoghi comuni dell’epoca, le vicende e i fatti si susseguono tramite una narrazione spesso superficiale e semplificata e, sebbene il particolare potrebbe essere interpretato come intenzionale, dato che sempre di un prodotto di massa si tratta e il suo scopo non è giustamente quello di istruire quanto piuttosto quello di intrattenere, l’effetto che ne risulta è in svariati punti caotico, trascurato e incompleto. Niente sembra andare (e neppure lo desidera) al cuore delle cose, mentre invece vengono ingentiliti gli aspetti più pungenti e i risvolti più problematici dei personaggi e le vicende coinvolti, per creare una maggiore suggestione nel pubblico. A tal proposito, bisogna rendere merito a una fotografia che sa essere attenta ai dettagli e dare spessore e supporto ai dialoghi e ai vari momenti di sviluppo della trama, capace di rendere emozionante un tramonto tra i grattacieli di Milano,  insieme a una colonna sonora, le cui musiche originali sono state composte da Davide “Boosta” Di Leo, che interpreta in maniera calzante la cifra del momento storico rappresentato ed è probabilmente l’elemento della serie che più convince e piace, a partire dalla sigla che aggancia e affascina senza alcuna riserva.

Ideatore della serie, Stefano Accorsi interpreta un pubblicitario enigmatico che è il “Don Draper de noantri”, un personaggio in penombra, difficile da afferrare e comprendere, con qualcosa da nascondere e incapace di far entrare davvero qualcuno nella sua vita, inclusa la figlia non voluta che irrompe nella sua tranquilla e lussuriosa esistenza per sconvolgerla ma giusto un pelo, dato che Leonardo Notte è troppo figo per farsi scomporre da un imprevisto del genere. Duole ammetterlo, ma anche l’interpretazione di Accorsi è d’annata, ferma a quell’anno in cui si faceva conoscere con la famosa pubblicità tormentone “Two is meglio che One…”, rivelando una mancata maturazione come attore che delude, laddove come uomo il nostro Stefano riesce a dare ancora belle soddisfazioni. Una certa sorpresa riserva, invece, Miriam Leone, da Miss Italia ad attrice capace di calarsi bene nella parte della showgirl bellissima che si concede per un tozzo di fama senza però apparire macchietta o, peggio, oggetto accessorio alla serie. Peccato per quel bisbiglio tipico della scuola delle attrici italiane che di tanto in tanto prende il sopravvento impedendoci di comprendere tutte le sue parole. D’altronde, meglio i suoi sussurri che il biascicare di Tea Falco, che per tutta la serie non fa che ciondolare (e in questo si dimostra molto brava) come una teenager dell’epoca, a metà tra il grunge e il punk rock, e parlare una lingua assolutamente incomprensibile, creando un effetto che nelle intenzioni originarie voleva essere realistico ma che diventa tragicamente comico. Tra gli altri, il più convincente è il leghista interpretato da Guido Caprino, mentre portano a casa il loro compitino Domenico Diele e Alessandro Rioja, i cui due personaggi appaiono finora solo abbozzati e potrebbero dare di più, come del resto tutti i protagonisti di questa serie, chiamati a fornire una visione corale di quell’anno senza però avere lo spazio necessario per dare voce a tutti gli aspetti che li caratterizzano.

Tra pregi e difetti, 1992 non è una brutta serie, ma di sicuro non è Gomorra e nemmeno Romanzo Criminale. Si tratta di un prodotto partito con mille promesse, ma che fin dal primo episodio rende chiaro che non sarà in grado di mantenerle tutte, un lavoro ambizioso ma non sempre in grado di rendere tali ambizioni concrete. Ciononostante, è una serie che si eleva dalla staticità e il buonismo imperante della fiction italiana, grazie anche a una libertà di linguaggio e scrittura che Sky può assicurare a prodotti del genere, e che rivela una ricercatezza formale non scontata grazie alla quale regalare al pubblico momenti notevoli e di qualità. Perché quindi guardare 1992? Perché è il revival che piace, il racconto di un passato familiare che funziona ed emoziona, la madeleine proustiana che generazioni come la mia, cresciute davanti a uno schermo con tubo catodico, attendevano e desideravano; perché a discapito dei buchi della sceneggiatura, delle scene telefonate e delle interpretazioni non sempre entusiasmanti, 1992 è la dimostrazione che con un po’ di impegno in più anche in Italia è possibile realizzare produzioni qualitativamente valide, senza dover sempre incorrere nell’eccellenza ma anche solo allo status di “piacevolmente guardabile”. E ora scusate, ma mi è venuta una gran voglia di cantare “Non amarmi” e di guardare una puntata di Beverly Hills: 1992 mi ha inevitabilmente conquistato.


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