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#serietv: il caso nathan #fillion

Da Matteobortolotti @bortolotti
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Nathan Fillion e Matt Smith (il Dottore di ‘Doctor Who’) in uno scatto del Comic-con di San Diego. Matt Smith non ha Twitter e così ha rubato l’account del collega per salutare i suoi fan.

Nathan Fillion è  il toupée più famoso di Hollywood. Ed è la mia scusa di oggi per indagare il mondo della comunicazione dinamica. Lo conosciamo anche in Italia, grazie alla programmazione preserale di CASTLE che ha conquistato anche chi ancora non l’aveva visto in prima serata.

D’altronde la prima serata del sabato, per i giovani – parte integrante del target di riferimento dello show, – non è facile restare davanti alla TV. Devono anche uscire, questi poveri ragazzi. Ma non divaghiamo. Questi sono i misteri del palinsesto RAI, che come sempre mi lasciano F4 (vedi BORIS). Misteri che persino io che me ne intendo non riesco a penetrare.

Fillion, dicevamo, indossa quel parrucchino dai tempi di FIREFLY, una serie tv di Joss Whedon che si proponeva come uno dei primi esempi di fantascienza-western. Una serie di cui parlerò, un giorno. Magari ricordatemelo voi. Perché l’argomento centrale di questo post non è Firefly, e non è nemmeno Castle.
E’ proprio Fillion, lo prendo come un esempio virtuoso di personaggio dell’entertainment 2.0, ovvero la macchina del successo ai tempi di Twitter. E’ sempre connesso, manda foto, messaggi, interagisce con tutti e ci sa davvero fare. Perché, dice, è semplicemente un modo per divertirsi coi suoi fan. Un surplus, non parte del suo lavoro.

Il mistero che mi piacerebbe penetrare è forse quello della sua naturalezza. Vera o presunta. Insomma, della ricerca dell’innocenza rispetto a questi nuovi mezzi di comunicazione. Fillion ha ragione. Twitter e i social non sono il lavoro di un attore, e nemmeno di uno scrittore. Eppure sono un’occasione. Un buon modo di trovare il contatto con persone interessate a quel che si fa.
Il successo di Castle trascende la sua facile scrittura e sta tutto negli attori, nel ruolo di capocomico che si è preso il proprietario del parrucchino più assurdo della tv americana, oltre che nel fascino (ça va sans dire) di Stana Katic. Il successo di Dr. Horrible’s Sing-Along Blog, musical YouTube dello stesso Whedon (molto ben scritto, e con un grande Neil Patrick Harris) è dovuto in toto all’utilizzo dei mezzi d’interazione del web 2.0, e già nel 2008 ha sfruttato la rete dinamica, il confronto tra le persone che lo vedevano e il cosiddetto marketing conversazionale.

Autoironico, sincero, sfrontato senza essere volgare o provocatorio, Fillion ha creato un rapporto col pubblico, negli anni, che gestisce con estremo rispetto e grande modestia.

C’è stato un periodo, per esempio in cui mandava foto su Twitter di oggetti e palazzi che aveva intorno – durante passeggiate off-tour, – invitando i suoi fan a scoprire dove si trovava. E quando qualcuno mollava il lavoro per andarlo a cercare, lui l’accoglieva con gratitudine. Gli scattava una foto, scambiava due chiacchiere e gli firmava autografi.
Ecco il cambiamento epocale. E’ la ‘star’ che scatta foto con te per poi mandarla sul suo Twitter, non il contrario. E’ lui che sta costruendo la sua reputazione. Guardatelo al People Choice Award.

Al giorno d’oggi esistono ancora le grandi star, i grandi scrittori, i grandi padroni dell’intrattenimento. Distanti da tutto e da tutti, come gli Dei dell’Olimpo, venerati perché si deve, perché c’è ancora qualche tapino che ha bisogno di un altare. Personaggi eterei che compaiono solo quando c’è da adottare un bambino denutrito in Africa.
Fillion non è così, e non dico sia migliore o peggiore. Usa un’altra strategia. Come molti altri attori, registi, e miei colleghi scrittori, lui è l’esempio dell’entertainer 2.0. Io interpreto il suo modo di relazionarsi col pubblico, oltre che piacione, con una personale legge che mi sono stampato in testa.

Qualsiasi cosa tu faccia, quando hai a che con le persone (non la ggente, le PER-SO-NE!) sei in debito con loro. Per il tempo che ti dedicano, i soldi che spendono, i sogni che ti consegnano.

La mia riflessione oggi parte da quel toupée e arriva fin dentro ai miei libri, ai progetti che sto portando avanti. Fino a voi, coi quali voglio confrontarmi.
Domani tutti produrremo contenuti. E non saremo nessuno senza il pubblico. E il pubblico non sarà più qualcosa di scontato, e non sarà neanche a digiuno della nostra ‘arte’, perché a sua volta sarà un pubblico di produttori-consumatori. Una nuova specie di fruitore, che è pubblico e nello stesso tempo cerca pubblico. Gente sveglia, attenta, che conversa e mi migliora.
Lo so, sembra stupido. Tutto questo prendendo d’esempio Nathan Fillion. E Castle poi è anche un mio competitor diretto. Non mio-mio. Del mio alter ego in giacca verde.
Chissà se è vero.
In un mondo in cui tutti vogliono essere qualcuno (o hanno il diritto di dimostrarlo), dobbiamo cominciare a curare di più ogni persona che ci permette di essere noi stessi e di poter raccontare le nostre storie. Quelle che abbiamo in tasca e quelle che ci portiamo nel nome.
Non dobbiamo andare a caccia di ‘Mi piace’ o pubblicare ottanta post al giorno. Non dobbiamo più preoccuparci se ci seguono in seimila e cinquecento. Dobbiamo semplicemente tenerci stretti quelli che abbiamo vicino. E con loro cresceremo.
Il Caso di Nathan Fillion è un caso aperto su come sta cambiando il mondo della comunicazione. Se volete indagare, lo spazio qua sotto è aperto.
Shiny!


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