di Rina Brundu. “Il principale responsabile della situazione che si è venuta a creare si chiama Beppe Grillo. Inutile che sorrida, caro Travaglio!”. “Certo, sorrido perché non posso scompisciarmi!”. Così ha parlato Stefano Fassina durante l’ultima puntata di Servizio Pubblico (O la piazza o il re) e così gli ha risposto Marco Travaglio. Poi l’alterco è continuato con un Fassina visibilmente teso, nervoso, che ha rimarcato come l’umor giocondo del giornalista de Il Fatto, sarebbe venuto meno se anche lui, Travaglio, si fosse trovato in quella piazza. Per inciso, la piazza dove Fassina è stato contestato nei giorni dell’ira che hanno accompagnato l’elezione del Presidente della Repubblica: che il dirigente PD sia stato braccato come un Nicolae Ceaușescu in fuga nel 1989?
“Certo, Travaglio, perché lei è la verità: come Grillo!” sordo alla risposta del giornalista che gli ricordava come lui non avesse elettori con cui fare i conti, Stefano Fassina ha quindi tentato di portare Massimo Cacciari dalla sua, sostenendo che anche il filosofo (il quale filosofo, relegato nella sua solita postazione nel background, con la mimica e con i gesti, cercava disperatamente di catturare l’attenzione di Santoro “per chiarire quello che ho detto io”), aveva dichiarato che l’obiettivo di Grillo “non era portare delle persone in Parlamento che aiutassero a dare delle risposte”, “l’obiettivo di Grillo era far fare l’accordo al PD-PDL e lucrare in termini elettorali”. Ma Travaglio non si è convinto, a suo avviso “l’asino è cascato” quando il PD si è rifiutato di votare Rodotà, dando ad intendere di guardare comunque all’inciucio delle larghe intese; un inciucio che in realtà sarebbe permanente e durerebbe da vent’anni tra destra e sinistra (più avanti si spingerà fino a dire che forse tra Berlusconi e D’Alema non c’era tutta quella differenza!). “Ma che dice, ma che dice, che tristezza, Travaglio!” lo ha redarguito Fassina, prima di incassare un caustico:“E, lo so, lo so, è molto triste quello che sto dicendo ma purtroppo è la storia di questi anni!”.
“Il problema del PD è che ha degli elettori che sono infinitamente migliori dei loro dirigenti e che da vent’anni non si lasciano educare” ha chiosato infine Travaglio, chiudendo la diatriba, magari alludendo, ma trovando una qualche forma di solidarietà nello stesso Cacciari che ha rimarcato come il PD le abbia “sbagliate tutte” e l’attuale utilizzo del “noi” da parte di Bersani sia semplicemente “patetico”. Il PD, a sentire l’ex sindaco di Venezia, dovrebbe trovare una qualche metodologia per dividersi consensualmente, altrimenti con la convivenza coatta il rischio parricidi e infanticidi sarà sempre presente. Il filosofo si è infine scatenato da par suo quando un Maurizio Landini demagogico e lapalissiano, ha affermato che per risolvere il problema dei problemi, ovvero la mancanza di lavoro, e dunque per portare a casa i finanziamenti pubblici e privati “ci vuole un governo che vada a battere i pugni in Europa”. “Ma chi vuoi che in Italia vada a battere i pugni in Europa? Ma smettiamola di dire le palle, Landini! Ma che cazzo vuol dire sbattere i pugni in Europa?” si è stizzito un gesticolante Cacciari, dimenticando per un momento la sua strenua battaglia per la “prospettiva presidenzialistica”.
Il settimanale sermone di Marco Travaglio – sebbene un po’ lungo e a tratti noioso – ha avuto il merito di chiudere l’usata disputa in studio, nonché di mettere in primo piano il lirismo giornalistico della Terza Repubblica governata da re Giorgio I (a tratti San Giorgio, specie quando alla stregua di San Francesco che ammansiva gli uccelli, lui avrebbe tentato di ammansire i “grilli”). Secondo Marco Travaglio dagli editoriali del Corriere della Sera a quelli de L’Unità, non c’è stato giornalista, scrittore o scribacchino italico che, in questi giorni-da-ricordare, non abbia intinto la penna per osannare il rieletto Presidente della Repubblica e ad un tempo per trovare un nobile sinonimo della parola inciucio. Così, dallo “sforzo collegiale, al “governo di salute pubblica”, al “governo di salvezza nazionale”, al “governo di scopo”, tanto caro a Berlusconi, sempre secondo il giornalista, non ci si sarebbe fatti mancare davvero nulla quando si è trattato di dare la miglior rappresentazione bucolica del nuovo status-quo post-elettorale, post-elezione del capo della Stato e, appunto, post inciucio-governativo.
Che, tenendo conto della troppa carne al fuoco, non mi è ancora chiaro se Santoro abbia fatto bene, oppure no, a mettere in coda alla puntata il soporifero intervento promozionale dell’ultima fatica editoriale di Roberto Saviano, intervento fatto dallo stesso autore. A posteriori, colpiscono di più, quali ideali ciliegine sulla torta del programma, e segno davvero visibile delle cause e concause di cotanta passione politica e civile, l’immagine di un Bersani in fuga – manco fosse pure lui una sorta di Nicolae Ceaușescu dei poveri – costretto a parcheggiare e a parlare con il giornalista che lo intervistava in un vicolo oscuro; e, ancora, colpisce la straordinaria – e a suo modo letteraria – dialettica dei simpatizzanti del M5S intervistati durante la manifestazione pro-Rodotà. Colpisce insomma la precisa linea narrativa dei loro discorsi, i quali, più che in interventi politicizzati (come lo erano, per esempio, quelli dei loro padri sessantottini), si risolvevano in mere storie-di-vita. Di vita privata. Personale. Storie ammantate di un tocco neo-realistico che raccontavano esistenze moderne travagliate, tormentate. Spesso degradate. Storie di giovani ai quali neppure la consapevolezza di essere stati la forza popolare capace di mandare a casa in un solo giorno “Prodi, Bindi, Bersani”, o di avere tenuto in scacco Berlusconi, riusciva a concedere un qualche ristoro. O una qualsiasi magra soddisfazione. Benvenuti nella Terza Repubblica, benvenuti nella vecchia terra dei cachi!
Featured image, Bersani riparte dal vicolo-oscuro, screenshot da Servizio Pubblico online.
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