Non amo gli attacchi ex abrupto: perciò sono contento della necessità, in questo caso, di fare un paio di precisazioni di carattere generale, prima di passare al mio tentativo di analisi del volume @stenersi perditempo di Gianni Santoro, “edito” da Mnamon nel 2012. Prima puntualizzazione: l’arte della recensione è un’arte difficile, ingrata, poco valorizzata; richiede a chi vi si cimenta il dono dell’analisi e quello della sintesi, capacità di approccio a testi dei più vari e forza della serenità quando c’è bisogno di parlare di “libri brutti”. Seconda puntualizzazione: un romanzo dovrebbe sempre avere qualcosa da dire: anche se la cosa da dire è non dire nulla. Poco sopra scrivevo “edito”: non a caso, poiché il servizio offerto da Mnamon, esplicato chiaramente nel Contratto di pubblicazione On-Line sembra essere quasi esclusivamente quello di ricevere l’e-book dall’autore, inserirlo nel proprio sistema, promuoverlo coi mezzi ritenuti più opportuni, venderlo attraverso lo stesso sito web dell’“editore”. Peraltro, come da contratto sopraindicato, l’autore nel momento dell’accettazione solleva Mnamon da «qualsiasi responsabilità per eventuali errori» e inoltre «Se il testo necessita di editing, i relativi costi verranno concordati a parte». Bene, teniamo da parte questa considerazione, per riprenderla alla fine, ed entriamo più nel merito del testo. Gianni Santoro, scrittore, giornalista e anche attore, cerca di unire, in questo @stenersi perditempo, il dato autobiografico e quello romanzesco: l’io narrante, il Gianni che ricorda e prova a relazionare, ripercorre brevemente una travagliata educazione sentimentale, che lo fa approdare presto a mezzi per la ricerca dell’anima gemella come, in primo luogo, annunci su riviste, e in secondo “messaggerie” su internet, con conseguente panoplia di creature di sesso femminile, da incontrare e con le quali tentare approcci quasi sempre di natura meramente erotica. Questa è la storia, e la recensione potrebbe finire qui, se non dovessimo occuparci del modo con cui questa storia (esile, in verità) viene raccontata, se di racconto organico si può con onestà parlare. Escludendo i primi capitoli, in cui viene tratteggiata un’adolescenza come molte altre, di turbamenti, speranze e disperazioni, Santoro procede nel senso dell’accumulazione per almeno due terzi del libro: nomi di donne, brevi descrizioni delle stesse, sul modello: “1,70, occhi neri, capelli lunghi, carina”, si susseguono senza soluzione di continuità per una buona parte del romanzo.
La giustapposizione di “strutture” che generosamente chiamiamo narrative, del tipo appena citato, genera ben presto una sazietà che, se da un lato fa pensare a una sequela di sketch a sfondo pruriginoso, nel solco della tradizione italiana soft-core dei “padri” Lino Banfi e Alvaro Vitali, dall’altra rischia di illudere lo spettatore su una possibile natura combinatoria dello scritto. Al di là della facile ironia, a cui d’altro canto @stenersi perditempo presta continuamente il fianco, infarcito com’è di espressioni gergali, turpiloquio, luoghi comuni e diffuso sessismo nella misura della rappresentazione (forse atta a stigmatizzare? Qualche dubbio si fa strada) di un maschilismo tutto sommato di maniera. Venendo allo “stile”, termine che in questo caso una volta di più bisogna acquisire e utilizzare con beneficio d’inventario, potremmo dire almeno della estrema ridondanza lessicale e della costruzione, eminentemente paratattica, sciatta, scontata delle frasi. Oppure potremmo semplicemente rimanere in silenzio. È ora opportuno riagganciarci al discorso relativo all’“edizione”: stante la presenza, nella copia elettronica da noi ricevuta (e quindi dobbiamo supporre, nella copia regolarmente venduta da Mnamon), di «E’» sistematicamente in luogo di «È», sovente due puntini di sospensione al posto dei tre di norma, «và» e altre amenità di tale sorta, da far rabbrividire anche il correttore di bozze più navigato, dobbiamo fare due ipotesi: o non si è ritenuto che il testo avesse bisogno di un “editing” (ma che diciamo, editing, bastava anche una “semplice” correzione di bozze, per rimuovere gli imbarazzanti “misfatti letterari”) oppure si sono considerati irrilevanti refusi (ma non solo) che, dal nostro punto di vista, disturberebbero anche il più ingenuo dei lettori. Tertium non datur. Senza considerare, naturalmente, che Santoro, purtroppo per lui e per noi, pare non essere stato esattamente un buon “correttore” (o “editor”, se preferite) di se stesso. Non resta, a questo povero recensore, che chiudere il dolente articolo manifestando, con un sorriso accennato, una perplessità che lo angustia non poco, da quando ha terminato la lettura di @stenersi perditempo: questa frase: «Poi accadde qualcosa che, alla luce di quanto si sarebbe verificato successivamente, poteva trattarsi di un segno premonitore» si dovrebbe considerare grammaticale?