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Sette anni a Dell’Utri. Mafioso si, stragista no

Creato il 29 giugno 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti

Sette anni a Dell’Utri. Mafioso si, stragista no.Era attesa da tutti. La sentenza della Corte d’Appello di Palermo sulla vicenda di Marcello Dell’Utri è arrivata questa mattina. Sette anni di carcere per il senatore del Pdl contro gli undici richiesti dal sostituto procuratore generale Nino Gatto. In attesa di leggere le motivazioni con cui i giudici della Corte d’Appello hanno sostanzialmente riscritto la storia dei rapporti di Dell’Utri con la mafia dal 1992 in poi, vediamo quali sono i fatti “certi” di questa vicenda che terminerà solo in Cassazione sperando non ci sia un emulo dell’ex Carnevale. I giudici hanno accertato che Vittorio Mangano fu assunto come stalliere da Berlusconi ad Arcore per proteggere la famiglia durante il periodo buio dei rapimenti. E questa è una vera e propria notizia visto che nessuno sapeva che Mangano aveva prestato onorato servizio presso la villa di Silvio. L’assunzione di Mangano venne decisa da un incontro al quale presero parte Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi e i boss mafiosi Stefano Bontade e Mimmo Teresi. L’incontro avvenne presso la sede della Edilnord, società con la quale gli industriali mafiosi siciliani intendevano riciclare nel “mattone” i proventi del lucroso traffico di droga. I giudici della Corte d’Appello hanno ritenuto fondata la testimonianza del pentito Francesco Di Carlo che, a quell’incontro era presente. Dalla sentenza emerge anche che Dell’Utri, fino all’inizio della stagione delle stragi, intratteneva rapporti non solo con la vecchia mafia di Stefano Bontade, ma anche con la “nuova” di Totò Riina e di Bernardo Provenzano. I sette anni di condanna sono quindi riferibili solo a quel periodo di “connivenza” perché, per quello che parte dal 1992, il senatore è stato assolto. Le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza sono state considerate, quindi, carta straccia dal momento che il pentito/non pentito non era stato presente a nessun incontro e che aveva riportato solo quanto appreso dal suo boss Giuseppe Graviano. Ma i giudici della Corte d’Appello non hanno evidentemente creduto neppure a Nino Giuffré il cui “peso” mafioso è sicuramente superiore a quello del “convertito” Spatuzza. Nino Giuffré aveva parlato “del sostegno elettorale dei boss (a Forza Italia), in cambio di ‘garanzie’ che sarebbero state offerte da intermediari”. La sentenza di questa mattina rimette in discussione tutto il lavoro di indagine fatto in questi anni dalle procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze. La sconfessione di Spatuzza (vedremo se sarà ritenuto “inattendibile” o semplicemente non “presente ai fatti”), e la non presa in considerazione delle dichiarazioni di Giuffrè aprono una serie di interrogativi a cui solo in parte le motivazioni della sentenza daranno una risposta. La Corte d’Appello ha infatti diviso in due la storia dei rapporti di Dell’Utri con la mafia: prima del 1992 e dopo il 1992. Riconosciuto colpevole per il primo (sarebbe stato difficile negare l’esistenza di Mangano), è stato assolto per il secondo durante il quale la mafia aveva compiuto il “salto di qualità” stragista. Un conto è essere accusati di “connivenza”, un altro di “concorso in strage”. Da questo punto di vista, il senatore ha raggiunto il suo obiettivo e, come facilmente intuibile, non solo lui. Ripercorrendo alcune indiscrezioni uscite in questi giorni sugli strani rapporti di congiunti dei giudici della Corte d’Appello con l’”universo Pdl”, ci viene voglia di dar ragione a un altro che con la mafia qualche rapporto l’ha avuto, Giulio Andreotti. “A pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca”. La conferma l'ha data la difesa di Dell'Utri qualche minuto fa. Ha giudicato la sentenza una "pietra tombale sulla teoria del patto con Cosa nostra". Tanto si voleva, tanto si è avuto. 


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