Sette di tutto (II)

Da Bartel
“La fame è fame e non c'è niente da fare. Non ti fa giocare, non ti fa pensare e non ti fa dormire.Non ce la fai a correree quandoti fermi hai lo stomaco freddo, non ce la fai a tirare le pietre o a fare a botte.La fame è fame.Se Dio ci vuole bene, come dice la mamma, perché ci fa avere fame? Anche Tito ha fame.Me ne accorgo perché non giocapiù con me e sparisce per un paio di giorni. Mamma dice che va a caccia.Va a caccia di colombi, credo. Forse pesca. Mammadice che i gatti vanno a caccia di topi, quelli grossi e schifosi come quelloche abbiamoucciso la settimana scorsa con Tanino ed Edoardo e c’erapure Tonio. Era grosso come un gatto il topo, ma lo abbiamoinseguito tutti insieme e poi lo abbiamo colpito con le fionde e le mazze.Ci ha messo un sacco di tempo a morireed ancora mi ricordoi suoi strilli.Somigliavano a quelli degli uccelli. Non penso che Tito mangia quelle schifezze anche se la fame é fame. Chissà se mio padre ha portato da mangiare oggi. Chissà se stasera mio padre torna. Il padre di Tanino torna sempre. Suo padre dice che prima era diverso.Prima si mangiava ogni giorno, non tantissimo, ma si mangiava.Ogni tanto, lui e suo padre giocano a tavola e fanno finta che, invece delle razioni, c’è il pollo damangiare tutti insieme con le mani o una fetta di carne rossa rossa da fare nella padella grande sul fuoco o i dolci, le cassatine con le ciliegesopra.Io ho mangiato una volta le ciliege, le ho rubate da un orto dove c'era anche un cane rabbioso che per poco non mi mordeva, ma non ho mai mangiato le cassatine. Io penso che a Tito e a me ci piaccionole cassatine.”
La fila per il pane è lunga. Ci vorranno ore avere un po' di pane.Ore di fila. Ore di uomini e donne appoggiati ad un muro e che non si parlano, attenti soprattuttoa non essere superati e a superare. Quasi nessuno parla e parlare poi di che? La guerra ha cambiato i discorsi e nessuno vuole parlare di guerra. La guerra ha cambiato le parole, ne ha cancellato alcune e ne ha aggiunto altre,nuove, ma ci vuole tempo ad impararlee non sempreé piacevole. Altre parole sono solo cambiate, si sono arricchite di significati.Il muro su cui tutti, tranne i più paurosi, si appoggiano é semprestato parte di una casa,della mia casa, il riparo dei miei figli, ma ora é il posto dove sono stati ammazzati padre e figlio dai Tedeschi. Per la verità i Tedeschi volevano ammazzare solo il figlio. Era grande e grosso il figlio con due mani come badili e con un pugno aveva spaccato la faccia ad un SS troppo intraprendente con sua moglie che non era neanche particolarmente bella. Il padre, un sarto piccoletto e con i baffi ben curati, ha avuto la cattiva idea di mettersi tra le pallottole ed il figlio. Notoriamente le pallottole non distinguono i colpevoli dagli innocenti. La nuora del sarto con il suo bambino in braccio adesso è in fila con gli altri e ignora i buchi delle pallottole sul muro perché ore di fila stancano le gambe e la testa ed anche il dolore diventa abitudine e poi non fa più male. I maligni dicono che un soldato inglese pieno di lentiggini si è incaricato di curarle il dolore.Una terapia notturna dicono i maligni, come si usava fareprima della guerra e a volte anche durante. Un tempo, prima della guerra, tanto tempo fa, la notte ci trovava stanchi di ritorno dall’Arsenale o a far l’amore o a cantare sotto i balconi delle ragazze brune. Un giorno improvvisamente la notte é diventata coprifuoco e ha tolto il sonno e la voglia di fare l’amore.Poi è diventata fuoco e rovine quando gli aerei Spadefish hanno deciso di vomitare sulle nostrecase con la scusa di colpire le navi incatenate ai moli.Gli alleati erano i nemici semprein ascolto allora, ora sono gli amicia cui non importa niente di quello che diciamo. Tutto cambia tutto si muove e cambiamo anche noi che siamo in fila, i maligni e gli altri, fermi, appoggiati a questo muro tutti, tranne i più paurosi che hanno paura di essere sorpassati come quella ragazza con il bambino rasato per mano.
“ Mamma mi sono stancato....andiamoa casa”. Il bambino parla con la testa bassa e si pulisce la pianta dei piedi scalzi sfregandola contro l’altra gamba.La madre gli carezza la testa rasatadove qualche giorno prima c’erano i capelli neri come quelli di suo padre e lisci come i suoi.“No Lino, dobbiamo prendere il pane. Finiscila e stai buono se no lo dico a papà quando torna”“Uffà mà, voglio andare a giocare con Tanino”“Va be, va be va ma non ti fare male”La vecchia donna grassa vestita di nero le sorride: “Che ci vuoi fare figlia mia, so cosi i piccini”

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