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Settembre è arrivato all’improvviso

Creato il 01 settembre 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

Quando arriva Settembre ci si aspetta sempre che il tempo improvvisamente cambi.

Si desidera quasi che il cielo assecondi le proprie esigenze: staccarsi dalla vita estiva per ripiombare dannatamente in quella ordinaria, acrilica.

L’autunno è una stagione dolce che accompagna i suoi amanti verso un tenero silenzio, fatto di riflessioni e di giochi allo stesso tempo.

Accade poi che il cielo ti ascolta: neanche a farlo apposta.

Ore 8.30 del mattino, Sabato.

Il cielo fuori è carico di nuvole, il vento esige una camicia a maniche lunghe o una giacca leggera, di quelle dai colori della terra.

Nelle orecchie suona Paolo Conte. Ti sveglia stamattina chiedendoti di ballare la Milonga e lo assecondi sul lungomare di Mondello.

Qui il mare appare un focolaio di vita, l’acqua bagna altra acqua in una metamorfosi di colori e sapori.

Non so quale sia l’odore che accompagna la memoria di chi è tenuto a spostarsi spesso dalla propria terra.

Per me è quello del porticciolo di Mondello, dove l’acqua si mostra dura, forte, contaminata da nafta e catrame.

L’odore si solleva impregnandosi di sapore di alghe e reti da pesca.

Se vai presto la mattina puoi sentirlo vibrare nel cuore.

Le barche riposano ed è come se danzassero sul molo. L’una spinge l’altra in virtuosismi d’altri tempi.

Mi ricordo quando ci venivo da bambino.

Correvo lungo il molo quasi fosse una lingua sospesa sull’oceano e, d’inverno, il mare, scuro e spumoso, mi intimoriva ed allo stesso tempo mi spingeva incredibilmente verso la sua immagine.

All’epoca non c’era bisogno di nulla. Quel mare verace ti muoveva le dita ed il cuore con semplicità, con amore ed amore regalava.

Oggi mi verrebbe quasi di ballare quassù, ma c’è già chi passeggia con aria triste ed intimorita dalla vita ed allora sembra quasi un sacrilegio.

Si, perchè Palermo è naufraga e vederla da qui, dal mare, mi dà speranza, dà speranza a questa città addormentata, spaccata dal fuoco e dal silenzio acerbo.

Ed allora, forse è davvero il caso di danzare un attimo, abbandonato alla Milonga urbana, una sorta di tango arcaico, fluido, colmo di vita.

Povero, semplice, come l’amore autentico. Semplice.

Ballo e quel rumore di piano e chitarre accende le luci attraverso un varco trovato nel cielo.

Piove e spunta il sole, le nuvole aggrediscono l’orizzonte ed il mare salta verso il cielo mentre le barche sembrano adesso nacchere blues.

Rivela di sé il meglio ora questa città: africa ed eleganza mitteleuropea. Vergine di frontiera.

Passeggio ancora inseguendoti – mia città – nelle strade viola e nei palazzi bacchettati dal tempo.

Finché giunge anche il gesto di un Dio, pargolo e monello, che suonando la musica da solo allarga le braccia e riempie Palermo di una polvere di ruggine.

Perché la ruggine è simbolo di vita, ossidato è il ferro che la possiede. Saggio e crudele.

Poche persone per strada ancora e tutto è così incantevole.

Non ha tempo questa città la mattina presto.

Lecca la vita in modo imprevedibile tant’è che mi porta via, al comparire di un’immagine nuova che voglio amare.

E’ Palermo anche questa contraddizione che si esprime nei gesti dei fichi d’india. Appesi con grazia e tenacia alle crepe, alle rocce, inseguendo una comodità impensabile, inavvicinabile, uno spazio inesistente.

Ed io di spazio non ne ho più oggi per sedermi accanto a te e chiederti di ballare, almeno per un po’. Mentre muovi le dita, mentre i tuoi occhi di terra selvaggia si muovono abbracciando il cielo e la musica, mentre guardi verso il mare assonnata e vivace.

Mi congedo con una lettera mia amata e città inviolabile, lasciando gli ultimi spazi alla danza e a questo sogno settembrino.

Settembre è arrivato all’improvviso sparando musica lungo tutto il corso e prendendo un pezzo di me, ancora una volta per ricordarmi che, nel bene e nel male appartengo a questa città ed ai suoi occhi.

E oggi le appartengo ancora di più.

 

di Pietro Maria Sabella All rights reserved


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