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Carissimo Beppe, ho bisogno di un consiglio. Come lo spiego a mio figlio cosa significa essere interisti? Il bimbo ha sette anni, e da cinque vive in paradiso, calcisticamente parlando. Cinque scudetti, coppe Italia, la Juve in B, la finale di Champions, il Milan in questo stato, Mourinho o Mancini e non (con tutto il dovuto rispetto) Orrico o Hogdson. Per lui il 5 maggio sarà solo la data di una finale (vinta) di Coppa Italia. Quando cerco di spiegargli che quello che sta vivendo non è la norma, ma un periodo magico, mi guarda stralunato e non capisce.
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Bum-bum! Doppietta! E cinque scudetti di fila! Y ahora qué? Vamos a Madrid!
Lasci che il figliolo si goda il momento. Bimbo di una generazione nerazzurra felice, come lo fu la mia, che alla stessa età trovò il mago Herrera. Non è un caso che tanti italiani nati a metà degli '50 siano, oggi, nerazzurri. Lo stesso accadrà alla generazione di suo figlio, quella dei primi anni Duemila. Nell'età dell'imprinting calcistico arriva una squadra così, e lascia il segno. I bambini - come gli italiani - amano stare col vincitore. E se la nazione non sempre è da lodare, per questo, l'infanzia si può capire.
Era chiaro, umano e naturale che, dopo quatto scudetti (3+1), quasi tutta l'Italia tifasse contro l'Inter, stavolta. Non è servito. L'Inter era la squadra più forte, e ha vinto. Con le sue forze ma - diciamolo - anche grazie alla Sampdoria (complimenti per la Champions!), con cui una fantastica Roma ha perso la partita che non doveva perdere. Ha ragione Ranieri: se non ci fosse stata la sua squadra, che campionato banale. Invece non lo è stato. Proprio per niente.
Se proprio ama il tifo pedagogico, caro Amedeo, dica due cose a Cristofaro Jr. La prima: uno sportivo deve imparare ad amministrare l'ansia. La passione per una squadra, quand'è sana, è una scuola di carattere (l'Inter addirittura un'università, visto quel che abbiamo passato in questi dieci anni!). Seconda raccomandazione: si vince e si perde con stile, senza esagerare. Quindi vietato fare i bulli adesso, come non abbiamo fatto gli isterici quando le cose andavano meno bene.
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