Tra avvocati imbavagliati, ministri debuttanti e togati esasperati, l’inaugurazione dell’anno giudiziario è stata dedicata alla ricerca degli agenti patogeni della giustizia italiana. Nella vana attesa di ossimoriche “soluzioni condivise”, tra magistrati e ministro le divergenze di opinioni sembrano radicali, se non apicali. Lo erano anche dal punto di vista geografico: da Catania il Guardasigilli Severino ha annunciato la “potatura” di ventisei uffici giudiziari inutili e l’informatizzazione di quelli superstiti, insistendo su un’emergenza penitenziaria “da cui si misura il livello di civiltà di un paese”.
Negli stessi istanti, a Milano il presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio denunciava l’incombere della prescrizione, definendola “un agente patogeno”: ispirata in astratto a una maggiore efficienza organizzativa del sistema giustizia, in concreto la prescrizione precoce implica premialità occulta, impunità di risulta e strategie dilatorie volte ad allungare la durata dei processi sino alla certezza della non condanna. Il monito più severo sulla stasi della giustizia arriva però dalla Corte d’Appello di Caltanissetta, sede disagiata con debiti per circa 15 milioni di euro, il cui organico è endemicamente privo di dieci magistrati ordinari e di sedici giudici onorari. Da Reggio Calabria il procuratore Giuseppe Pignatone lancia infine una frecciata sulla pochezza del numero degli uffici giudiziari a fronte di una ‘ndrangheta più potente che mai, persino dal punto di vista antropologico: si parla di 3-4.000 affiliati alle ‘ndrine in paesi tra 10 e 15.000 abitanti.
La differenza apicale tra le visioni ministeriale e reale della giustizia sfocia in un dibattito che lascia poche speranze su una valutazione concorde delle emergenze. Il ministro insiste sull’innovazione organizzativa, mentre i distretti giudiziari agonizzano per mancanza di mezzi, di personale e per impotenza: la lentezza dei processi penali determinata dai fattori di crisi culmina nella prescrizione, azzerando più di 164.000 procedimenti l’anno. Molti di essi non arrivano nemmeno a processo: i soli decreti di archiviazione sono più di 120.000.
La prescrizione è la prima causa di morte della giustizia penale in Italia: un nervo scoperto, a giudicare dalla frequenza delle esternazioni di questi giorni. Il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, propone di riallungarne i termini in via generale. Il vicepresidente del CSM Vietti suggerisce strani congelamenti discrezionali dello scorrere del tempo. Interpellata sulla questione, la Severino afferma che la prescrizione “non è un tabù” (come l’art. 18?), ma nemmeno una priorità: si deve valutare, piuttosto, se rappresenti «la causa o la conseguenza della lentezza dei processi». Tra riferimenti freudiani e sofismi, il ministro tende a rimuovere il fattore scatenante del dilagare della prescrizione dei processi penali: quella legge ex Cirielli che nel 2005, per favorire le sorti processuali del premier in carica, falcidiò irresponsabilmente i termini di prescrizione di reati anche gravi, a cominciare dalla corruzione.
Il tabù italico sulla prescrizione è di tutt’altro tenore, a giudicare dalle dichiarazioni ringhiose del Pdl sulla relazione di Canzio: Cicchitto parla addirittura di un “rito ambrosiano” che si muoverebbe per assicurare a Berlusconi una sicura condanna nel processo Mills (virtualmente prescritto). Anche il focoso Cicchitto manifesta qualche confusione tra causa e conseguenza: la causa “ambrosiana” della legge ex Cirielli ha prodotto la conseguenza dello sfascio della giustizia penale italiana, né pare che il ministro Severino sia disposto a modificare la portata disastrosa di una prescrizione così breve da eliminare i processi. D’altronde, non si vede la ragione per cui dovrebbe farlo, visto che il Pdl sostiene il governo Monti in una continuità che implica un silenzio imbarazzante del nuovo esecutivo sulle norme ad personam tuttora in vigore.
Sarebbe facile dare un segno di discontinuità, quanto meno in riferimento alla prescrizione della corruzione: la prossima settimana il ddl anticorruzione riprenderà il suo iter da bradipo alla Camera, in attesa della prescrizione da fine della legislatura. Altre però sono le urgenze del ministro: per salvare il paese occorrono modernità, efficienza e concorrenza. Occorre quindi accorpare e non potenziare, risparmiare e non restituire respiro a una giustizia che non può nemmeno pagare i suoi debiti. Intanto si registra il primo suicidio in camera di sicurezza. Cambiando i luoghi disumani di detenzione, il risultato non muta: un altro esempio di confusione tra causa e conseguenza.