Sex and the City al tempo della crisi

Da Suddegenere

foto di Manuela Merlo

di Celeste Costantino:

“Sex and the City” è un bel telefilm ma è appunto un telefilm. Racconta le problematiche sentimentali, sessuali, relazionali delle trentenni e delle quarantenni in un contesto ricco, patinato, glamour e non certo ai tempi della crisi. E tuttavia racconta storie difficili, perché superata la soglia dei trent’anni una donna dal punto di vista personale e sociale entra in un buco nero. Anche nella Manhattan di Carrie Bradshaw. Tutto è trattato con grande ironia e forse per questo la mia generazione è rimasta affascinata da questa serie: lo sguardo degli altri quando ti definisci single, l’orologio biologico ad ogni angolo della strada che ti ricorda che il tempo passa inesorabilmente, il confronto con gli uomini più avvantaggiati solo ed esclusivamente perché uomini. Ecco, se tutto questo contesto televisivo lo riportiamo nella realtà, nel 2011 in Italia, l’ironia si fa fatica a mantenerla.

Le trentenni purtroppo non sono delle giornaliste di successo, ma il più delle volte delle freelance squattrinate, non sono avvocati rampanti ma praticanti a vita, non sono manager di grandi eventi ma lavoratrici della cultura alla giornata, non sono delle curatrici di mostre d’arte ma sono abilitate all’insegnamento del disegno e aspettano di essere chiamate in una qualsiasi scuola d’Italia. In una parola sono: precarie. Lo sono nel lavoro, lo sono conseguentemente nella vita.

Le contraddizioni che ci viviamo sulla nostra pelle sono molteplici. Intanto una fase di limbo perenne, di gioventù forzata nella costruzione della propria esistenza che non corrisponde all’estetica del cambiamento. A trent’anni il tuo corpo, il tuo viso è cambiato. Se fai la fila alla posta, se ti fermi al bar a prendere un caffè, si rivolgono dandoti del “lei” quando prima eri abituata a sentirti dare del “tu” e ti appellano – nonostante nessuna fede al dito – chiamandoti “signora”. Sia chiaro: nessuna di noi rimpiange il “signorina”, ma qui non è più in relazione al fatto se sei sposata oppure no. Qui è proprio in relazione al dato anagrafico. Perché è normale: per quanto sei bella, in forma e attenta alla linea, sei pur sempre una donna e non più una ragazza. Prima ti poteva capitare di andare a letto con il trucco addosso dopo una serata di bagordi o semplicemente il trucco non lo mettevi, oggi vai in giro con il copri occhiaie e il phard in borsa. Anche i bagordi sono nettamente diversi e la sera, prima di andare a dormire, ti strucchi con il latte detergente che promette miracoli mattutini. E poi ancora creme antirughe, prodotti per capelli sfibrati, anticellulite. Insomma entri nel panico maturità. E fino a qui niente di nuovo, da sempre le donne si sono confrontate con il problema del tempo. Il problema inedito, tutto del nostro presente, è che a questa maturità fisica non corrisponde una maturità di vita. Non lavori, non sei sposata, non sei mamma. E quindi che cosa sei per la società del ventunesimo secolo o per la tua famiglia che ti vuole tanto bene? Sei un problema. Noi ci viviamo la contraddizione di essere cresciute con l’idea che fosse importante studiare, realizzarsi, lavorare, essere indipendenti e abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare per essere autonome e non ricattabili, ci siamo autodeterminate. E invece adesso siamo di nuovo punto e da capo. Perché adesso il ricatto è anche autoindotto, perché quando arrivi a non vedere vie d’uscita ti interroghi sulle tue scelte. E ti chiedi se forse non hai sbagliato tutto, se forse non hai sbagliato a non accontentarti, se adesso chissà se mai lo farai un figlio. Se non hai una relazione stabile, ti barcameni tra una sessualità libera e la ricerca di stabilità e, in entrambi i casi, caschi male perché l’uomo contemporaneo in realtà non sta meglio di te. Nei rapporti occasionali s’intimidiscono: non ci possono credere che vuoi solo fare sesso. A letto, se ti dimostri sicura e sei tu a condurre il gioco, è molto facile e frequente imbattersi in un’ansia da prestazione o in una eiaculazione precoce. Se invece ti lasci andare a parole affettuose, a chiamate del giorno dopo, a sms notturni e messaggi privati su facebook, è facile incontrare paura perché loro sono ancora “giovani” e non si vogliono impegnare. Il limbo è uguale ma, come al solito, loro ci arrivano svariato tempo dopo.

Se vivi una relazione stabile hai invece il senso di frustrazione di chi è impossibilitato a progettarsi il futuro. Passano gli anni e tutto rimane fermo, invariato, vorresti fare un passo di qualità per la vita di entrambi e però non sei nelle condizioni di poterlo fare. A lungo andare queste situazioni arrivano anche a scoppiare. Dopo 10, 15 anni di fidanzamenti, convivenze difficili in cui entrambi sono precari all’inizio ci si fa forza a vicenda spesso si arriva ad odiarsi.

Chiaramente e fortunatamente non è tutto inglobabile in queste categorie, ma tra le mie coetanee di racconti così ne ho ascoltati a bizzeffe. In questo, Sex and the City è molto reale. Le donne fra di loro parlano e sempre più apertamente e schiettamente sia sul piano sessuale che sentimentale e il quadro maschile che ne esce fuori è disarmante. Machi che non sanno toccarti e che non si rendono conto di orgasmi finti pur di far finire quello strazio o che s’innamorano dopo dieci minuti perché hanno capito subito che “sei una donna con le palle”. Uomini ancora violenti o incapaci di prendersi delle responsabilità. Bambinoni in cerca di mamme che li accudiscano e gli risolvano la vita. Competitivi e persi nel momento in cui li superi nel cliché sociale. Estremamente fragili ed insicuri perché hanno capito che niente sarà più come prima.

La crisi economica passa da qui. Da delle generazioni di uomini e donne che, nella precarietà, si avvicinano ma che nello stesso tempo si allontanano da loro stessi. Reinventarsi un modo per stare al mondo insieme non è facile. Lo sforzo forse che si dovrebbe fare è quello dello svelamento delle debolezze reciproche, senza vergogna, ammettere che l’identità oggi si deve relazionare con una nuova concezione della cittadinanza, dell’esistenza pubblica e privata. Forse se provassimo a decostruire una volta per tutte il passato prossimo potremmo ragionare realmente di futuro, “svincolarsi dalle convinzioni, dalle pose, dalle posizioni” e farsi portare altrove.

Celeste Costantino >>

E voi, cosa ne pensate? 


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