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Michael Winterbottom è un regista poco etichettabile, capace di passare dal mock ""24 Hour Party People" all'asciutto "A mighty Heart", dal dramma "Genova" ai film degli anni '90, come "Benvenuti a Sarayevo" e "Go Now" dall'alto profilo sociale. In tutto questo (e non dimentichiamo il riuscito " The Road to Guantanamo"), l'unica cosa che si può obiettare al regista è la sua poca attenzione alle caratteristiche testuali. Winterbottom non è perfetto, quasi mai, nell'assemblaggio/scelta di copioni. I suoi film sono come le inchieste giornalistiche, i pezzi da rivista specializzata e militante, di primo ordine, ma pur sempre animati da una carica documentaristica che diventa la caratteristica accomunante, con quegli errori di distrazione tipici degli scritti. Questa è la sua forza, ma anche il suo limite. Non troverete un artista poliedrico così prolifico come il buon Michael. Non perchè il numero dei suoi film sia massiccio ( con difficoltà avrete due sue opere in una medesima stagione), ma per la capacità di trattare qualcosa, di volta in volta, sempre differente. E con uno stile riconoscibile. Ora è uscito nelle sale italiane "The killer inside me" e ha fatto discutere un pò ovunque, ma un pò di anni fa la miccia era stata questo "9 Songs", caratterizzato da un'indagine diretta sul sesso senza amore. E, nel film, e ancor di più nella versione leggermente estesa, c'è di tutto, con un'attenzione morbosa, fino al liquido seminale in primo piano dopo una vera eiaculazione. Winterbottom è veramente brutale e inserisce questi continui rapporti sessuali (gli attori non sono notissimi) in un contesto di "non amore", intervallato da una serie di concerti in giro per il Regno Unito di grandi band (nella locandina sono elencate, quasi si trattasse di un progetto musicale). il film è molto forte, severamente vietato, e conferma la caratteristica del regista, ovvero la provocazione, che sia dirompente, con carattere documentaristico.
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