- Io non capisco il perché…-L’altro lo guarda in un modo strano. Forse sospetta una menzogna. Ma lui non sta mentendo, semplicemente non capisce più niente.Lui gli concede un’occhiata quasi paterna e dice con voce ferma- Lo capirai presto. Il giorno è vicino – poi chiude gli occhi e sembra appoggiarsi contro qualcosa. Anche se è qualcosa fatta di niente.
- Ma io non voglio partire ancora - tenta di dire lui in un sussurro. Invece è già in viaggio.Precipitato, denudato e scagliato contro il nulla, così trascorre una vita.
C’è il sole alto e fermo in mezzo al cielo. Il calore del catrame entra nella bocca e fa uno strato nero nei polmoni che non si può vedere se non venti anni dopo nella traslucenza di un vetrino di laboratorio che racconta le peripezie di un tumore maligno della trachea al secondo stadio.- Un vero lavoro di merda – questo avevano detto all’ufficio del lavoro. Avevano ragione, perdio.Il Turkish bar era l’ ufficio del lavoro da quando i caporali ci passavano due volte alla settimana con regolarità e a volte ci scappavano delle giornate buone per qualcuno. La voce si era sparsa. Se l’erano passata come un tesoro con poche parole mentre erano in fila alla Coop per un filoncino di pane e un litro di Tavernello: cinque euro all’ora per i lavori facili, dieci per quelli duri e dodici per quelli quasi impossibili.Stendere catrame era considerato lavoro facile. Che ci vuole.In estate nella cabina del camion sono appena cinquanta gradi, cinquanta merdosissimi gradi che pare di avere la testa in una bistecchiera . La morsa bollente fa uscire un po’ in fuori gli occhi, ma a fine giornata tornano a posto. Resta solo la sensazione di un palloncino che si è sgonfiato. E pare manchi qualcosa nelle orbite. Questo però è il lavoro degli italiani, perché l’autista deve essere a posto, in regola e con la patente. Spalmare il catrame sulla strada è ancora più facile. Lo può fare anche un polacco. L’odore acre entra nel corpo e si fa dolce. Ian le prime tre volte cerca di pensare a certe sere che la sua donna non si era lavata, e allora là in mezzo alle gambe di lei c’era quell’odore strano, che a lui restava attaccato sulle labbra, sulla barba. Dappertutto. E che poi in fondo era anche piacevole, dopo.Ogni tanto Ian si gira e vomita. Poi ci butta giù un sorso d’acqua che sa di sudore e riprende a lavorare.C’è venuto con sua sorella, in Italia. Certo che non era sua sorella, ma tanto chi ci ha fatto caso, è bastata una buona parola del prete, e fargli qualche lavoretto. Di quelli speciali.Difficile che controllino i documenti. Non si deve dare nell’occhio. Qui c’è lavoro in abbondanza. Basta povertà. Basta scarpe senza cuoio. In Italia è tutto facile. Brava gente. Il sole scalda la pelle, servono pochi vestiti. Avanza qualche euro per una bevuta al Turkish bar il sabato, e Ian allora si mette seduto lì davanti sulla sedia e vede la vita degli altri. Gatto nero cane marrone. Gatto marrone a strisce e cane bianco. Mangiano scatolette che la signora della villetta d’angolo compra alla Coop. Costano più dello sfilatino e del vino di Ian, ma a lui non importa. A lui piace sognare.Quella che piace a lui passa tutti i sabato sera, o forse tutte le sere, anche quando lui non c’è. Passa e tira dritto, per non guardare verso quel posto denso di uomini e fumo attraversa la strada dieci metri prima del bar e dieci metri dopo attraversa di nuovo e si rimette in carreggiata. Giusto una piccola deviazione nella perfetta vita di tutti i giorni. Questo sono loro per lei. Quegli uomini strani. Gli extracomunitari, un minestrone di pezzi comunque andati a male. Questo è Ian, pensa Ian mentre vede Ian riflesso nel vetro del Turkish bar e dietro di lui insegue con gli occhi lei che attraversa un po’ affannata. Potrebbe avere calze autoreggenti come la ragazza del calendario nel camion di Mario. Potrebbe averle oppure no. Tanto lui non lo saprà mai, anche se non può smettere di pensarci.Non tocca una donna da tre mesi, da quando sua sorella si è messa a scopare con un vecchietto italiano e allora lei non può più rischiare di farlo con Ian mentre quell’altro dorme. E’ geloso, povero nonno. Ian ha capito, è intelligente. Sensibile. Tanto non era neanche sua sorella. Spera che lei sia felice. Felice come può esserlo qualcuno a cui non manca tutto quello che serve oltre a uno sfilatino e un litro di vino.Così adesso lui fa da solo. No, alla Caritas non si può. Al bagno deve sbrigarsi e poi si vergogna se fuori c’è qualcuno che aspetta. Ha provato davanti a una scuola ma lo hanno quasi scoperto, ed è scappato con la patta aperta. Qualche volta di sera si siede dietro un cespuglio dei giardinetti pubblici, e prova ad accarezzarsi ma si addormenta per via del lavoro. Se invece ci riesce, allora per qualche giorno è a posto e smette di fargli male. Se solo le donne sapessero. Pensa. Se solo capissero quanto bene potrebbero fare agli uomini, allora forse lo farebbero. Questi sono i pensieri di Ian. Più leggeri del vapore del catrame e ancora più intensi di quel maledetto puzzo.Male. Male fare pensieri, si deve lavorare e basta. Un lavoro semplice e pagato bene non prevede distrazioni. Non ha tempo di capirlo il polacco, perché non sente l’urlo di quello dietro di lui, che ha visto il camion piegarsi e il catrame uscire di fuori come uno schizzo di vomito denso, e Ian farsi rosso e nero. Poi cenere.Doveva essersi addormentato. E comunque si risveglia davvero triste.L’altro ha ancora gli occhi chiusi. Pare sempre nella stessa identica posizione, eppure ne deve essere passato di tempo. Ne è certo. Fa uno sforzo per cercare di ricordarsi il proprio nome. Gliene vengono in mente migliaia, i nomi di molti degli uomini che avevano abitato la Terra. Tutti, ma non quello che sta cercando per se stesso. Nota una leggera increspatura sulle labbra di quell’altro. E' preso dal terrore.- No. Non voglio…non è possibile…questa è una storia senza senso -Ma il suo interlocutore pare dormire. A parte la leggera increspatura.
Viene risucchiato di nuovo. Stavolta con una sensazione di dolore intenso. Non gli basta vedere la luce per sentirsi meglio. Piange.Sono nero. Nero e lucente. Veloce e agile. Il migliore ad arrampicarmi sui ponteggi. Lo yacht è bianco e lucente. Bellissimo come le donne che porterà. Indosseranno abiti a pelle e sotto niente. Ecco, basta che allunghi la mano verso lo scafo così lucido, posso accarezzarlo e accarezzare i loro corpi. Come velluto, come dune di sabbia. Come mare e seta. Sono donne comunque. Chiunque può averle. Ecco, così, una mano qui e una sullo scafo. Niente a tenermi. Come un uccello. Un uccello nel cielo. Un uccello che cade. Giù dal ponteggio di questa nave miliardaria, a capofitto da questi otto metri di vita troppo breve. Per queste donne meravigliose che balleranno su questo ponte e non lo sapranno. Rideranno e non lo potranno sapere, che ballano sul sangue di Thomas, l’africano che è morto per loro al suo primo giorno di lavoro regolare.
- Questo è sbagliato – sussurra con velenosa lamentela, avvicinandosi quasi minaccioso. L’altro pare scuotersi. Qualcosa sembra alterare la sua meravigliosa calma. Sembra scattare ma ritrova subito la propria serena concentrazione.- Guarda che sei qui per tua scelta -Non gli rimane che guardare in terra. Deglutire. E prepararsi a partire ancora.
Strano un corpo di donna quando si matura. Sotto alla pelle, così bene attaccata alla gabbia toracica, si fanno avanti due sassetti duri da niente, che un giorno portano in avanti tutto lo scheletro e impediscono le cose più naturali. Correre, abbracciarsi. Andare in bicicletta sulla breccia.Bisogna stare attente, signorina.E se non si può continuare a giocare con i maschi, allora? Allora si può studiare.E se non ci sono i soldi per studiare? Si può lavorare.Non si è mai troppo piccoli per il lavoro. Come si può essere bambine con due tette del genere?E’ divertente. Uscire la mattina quando l’aria è fredda e aspettare l’autobus, e vedere che l’autista è gentile e ti aspetta, e non ti guarda più come l’anno prima. No, davvero.Le compagne scherzano. Sanno un sacco di cose. No, macchè assorbenti. Ci sono quelli interni, quelli con il filo. Ma no, è vergine. E allora tutte ridono.Poi arriva il padrone e non ridono più. Fare materassi è lavoro di responsabilità e precisione. Non è facile, non è difficile. E’ lavoro. Di quelli che a fine mese porti a casa trecento euro, così ci saranno per le ferie a Cattolica e potrai vedere tua madre con l’abbronzatura e la vicina che si affaccia a veder partire la Fiat Uno della famiglia Madonia con una faccia da fine del mondo. Trecento euro e tuo padre sorride. Tuo fratello ha i jeans nuovi. Tu hai quindici anni e tutta la vita davanti. L’autista che ti sorride alla mattina, le amiche per scherzare e la discoteca al sabato sera con due consumazioni. Perciò il lavoro va rispettato. E difeso.Tina doveva aver acceso una sigaretta. Poi si sarà addormentata. Chi può dirlo. Maria ha visto il fumo e si è mossa. Come se saltasse piano. Le altre sono scappate. Lei ha preso un secchio ed è corsa incontro al fuoco. Difendeva il suo lavoro e non c’era niente altro che potesse importarle. Niente oltre alle ferie. Un paio di jeans. Due consumazioni alla Capannina.Il fumo dentro la gola. Neanche ha mai acceso una sigaretta, e le tocca morire soffocata a quindici anni. Pensa un po’.
Adesso lui piange. Non ci capisce niente. Non soffre, eppure sente dentro di sé il peso di qualcosa di terribile che vuole dimenticare, anche se non lo ricorda. Dovrà continuare ancora? Per quanto tempo? Cosa vuole quello lì?L’altro gli domanda se ne ha abbastanza.- Ne hai abbastanza? Hai trovato quello che dovevi trovare? - Di cosa stia parlando, lui non sa.L’altro ha perso la pazienza. Forse ha fretta.
- Non ricordi? Se qualcosa andava storto, come politico le definivi “tragiche fatalità”… Come uomo qualsiasi semplicemente non erano cazzi tuoi. E da giornalista le chiamavi morti bianche…Ti sembra che la morte possa essere di qualche colore simile al bianco, povero cretino?-
L'uomo balbetta cose incomprensibili, tirate su da qualche pozzo della memoria, e tutte chiedono anche un solo perché. Una spiegazione qualsiasi.
Incredibilmente l’ombra pare accendersi una sigaretta.
- Adesso che siamo arrivati in fondo a tutta la storia, beh…- (Accende davvero una sigaretta con un gran sorriso e mette la mano su una leva di comando ON/OFF)
-…Niente drammi. Volevo solo darti una specie di occasione…che tu potessi almeno cercare un termine più adatto per definire una morte di merda –
L’ombra tira giù la leva. E viene l’Apocalisse.
R.L.