Sez. Le torte di Ninà - Tema: Che razza di torta è questa.

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Qualche millennio fa, in un tempo che gli archeologi non sono ancora riusciti a datare, viveva in nord Africa un re che amava l’arte, la pace e la bellezza. La sua pelle, come quella di tutti gli abitanti del regno, era di un bianco abbagliante. Questo re aveva un’unica figlia, che aveva la pelle anche lei così bianca che riluceva, e perciò alla nascita venne chiamata Perla. La principessa Perla crebbe bellissima e saggia, educata al gusto del bello, alla musica, alla poesia, alla pittura e alla letteratura di ogni epoca e paese. Quando però si trattò di trovarle un marito, e di assicurare così una discendenza alla stirpe reale, tanto era bella e buona, che al re nessuno parve degno di lei. Sembrò perciò destinata a restare zitella. Nello stesso tempo, a sud di quel regno felice, viveva un popolo di uomini dalla pelle nera come la pece e dal carattere coraggioso e guerriero, anche questo molto orgoglioso della propria forza e del colore della pelle, tanto che mai aveva voluto avere rapporti con i vicini del nord, i quali, per il colore bianco della pelle, venivano considerati alla stregua di cadaveri. Talmente orribili, che i bellicosi neri neanche avevano mai voluto dichiarare loro guerra, pur di non doverli vedere. Ognuno se ne stava dunque felice, entro i ben definiti confini naturali dei rispettivi regni, segnati da un fiume grande e impetuoso. Accadde però un giorno che la principessa Perla si fosse voluta recare al fiume, per declamare al chiaro di luna una delle sue poesie d’amore preferite. Ella aveva il permesso di muoversi all’interno del regno come voleva, anche di notte e da sola, perché pericoli non ce n’erano, in quel paese pacifico e illuminato. Così la ragazza si accomodò sulla riva del fiume e cominciò a recitare le parole di una strana poesia, che aveva trovato in un libro, custodito gelosamente dal gran sacerdote della biblioteca, luogo sacro e venerato. Il libro si intitolava “La gioia di scrivere” e non si sapeva chi lo avesse composto, né da dove venisse, perché il volume pareva aver viaggiato per secoli, tanto era consumato, e il nome dell'autore sulla copertina non si leggeva. Perla aveva chiesto notizie al gran sacerdote ma quello si era limitato a sorriderle. La principessa in cuor suo pregava che lo avesse scritto una donna e si era convinta che quelle parole fossero magiche.
* “Eccoci qui distesi, nudi amanti, belli per noi – ed è quanto basta –solo di foglie di palpebre coperti,sprofondati nella notte vasta” :
Perla pronunciò queste parole con dolcezza, rivolta al fiume.Ma ecco che si trovava a passare di lì per un’esercitazione notturna il principe del regno vicino, di nome Chatò. Nonostante il divieto di sconfinare fosse assoluto, pena la morte, spesso il ragazzo, scommettendo con i propri generali, riusciva a guadare il fiume in un punto dove era più basso, e a passeggiare a piacimento sulle rive dell’odiato regno vicino. Giusto per il gusto di sfidare le regole, com’è normale, per i giovani. Quella notte, il principe scorse la principessa che brillava ai raggi della luna, ma lui aveva la pelle talmente nera che, nonostante le si fosse messo a sedere vicino, la principessa non lo vide. Chatò la osservava trovandola bellissima, proprio per quel suo candore accecante. E quando la sentì pronunciare quelle strane parole ne restò molto turbato: non sapeva neanche che al mondo esistesse la poesia, e, per la prima volta in vita sua, pianse. La lacrima brillò alla luce della luna e Perla lo vide. Restarono in silenzio a guardarsi per alcuni minuti che a loro parvero anni, poi, senza dire una parola, si amarono fino all’alba.  Tornata a palazzo, la scaltra principessa decise subito che avrebbe cambiato le leggi del proprio regno, pur di sposare il suo amato; sapendo bene, però, che era un’impresa da condurre con la massima astuzia: seppur illuminato e colto, infatti, il re suo padre detestava i vicini dalla pelle nera e mai avrebbe dato il consenso a quelle nozze.
Perla cercò l'ispirazione in biblioteca, nel regno delle parole e della saggezza, e in un libro stranissimo trovò qualcosa che le parve perfetto. Chiamò la cuoca di corte e le ordinò di procurarle alcuni ingredienti, poi si mise al lavoro e quella sera a tavola comparvero delle torte mai viste prima e dal profumo meraviglioso. Solo davanti al posto del re non c’era niente. Il monarca, buono e paziente, lì per lì non disse niente, ma quando i commensali iniziarono a mangiare e mandare gridolini di soddisfazione, cominciò ad alterarsi. “Che stupido scherzo è mai questo?” chiese alla figlia, che stava anche lei cominciando a gustare la torta. La principessa si finse stupita. “Ma padre” esclamò “davvero non credo possa piacervi, il miscuglio delle bianche e immacolate pere con il nero e selvaggio cioccolato!”. Tutti restarono con il boccone a metà, perché intuirono che poteva esserci sotto un trucco della scaltra principessa e che la questione poteva farsi seria. Si fece un gran silenzio. Il re non sapeva cosa rispondere: anche lui molto intelligente e furbo, aveva subito capito che quella sua risposta avrebbe cambiato per sempre la storia del regno. Ma il profumo di quel dolce era irresistibile. “Portatemi subito una tortaaaa!!!” strillò il poveruomo a squarciagola, perdendo il proverbiale autocontrollo. Da quella sera, le principesse bianche, cultrici della bellezza e della poesia, ebbero la possibilità di amare principi neri, selvaggi e guerrieri.
E, sempre da quel giorno, anche le pere e il cioccolato vissero felici e contenti. Come nelle torta di Antonella Tarantino.  
R.L.
* incipit della poesiaNotorietà (Jawnosc) di Wislawa Szymborska.

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