Laureato in Filosofia, insegna Lettere nel Liceo linguistico di Acireale e vive a San Giovanni La Punta. Si è occupato di radio, politica, teatro, poesia e ha fondato l’associazione culturale “Accademia delle Nuvole”.
Di seguito, la recensione del romanzo di Caruso “Sezione aurea” (Manni) firmata da Simona Lo Iacono e corredata da intervista.
* * *
SEZIONE AUREA di Orazio Caruso (Manni, 2006)
Recensione e intervista di Simona Lo Iacono
Gli incontri non sempre avvengono su quella scia immaginifica che chiamiamo tempo.
Non sempre aderiscono all’istante, alla ricerca di noi, alla conquista di noi.
Sembra anzi che un vento capriccioso e faunesco, quasi un’ibrida creatura metà di aria e metà di fuoco, li sfalsi e li scombini. Li accomuni e poi li disperda. O li rinvii… di anni, stagioni, secoli.
Ecco perché alcune storie hanno bisogno di altri destini per compiersi. Ecco perché hanno anche bisogno di quello che chiamiamo tempo o luoghi della memoria.
In “Sezione aurea” (Manni, € 20,00, pagg. 228) Orazio Caruso recupera ciò che il tempo disperde, allaccia le corde recise, i sogni dimenticati.
Assolve all’incanto della scrittura: insinuarsi nelle crepe di noi, nella sospensione di attimi che rubano una vita intera, nei libri scritti una volta sola, negli scaffali ormai vuoti di attese.
Racconta la nostra storia: noi quando il tempo degli altri era adulto, e poi noi già adulti a fare – ancora – i conti col tempo. Noi che guardiamo avanti. E, ancora, noi che – guardando indietro – non ci riconosciamo.
D’altra parte chi può dire quale sia la vita. Se questo percorrerla in progressione o in regressione. Se andare o tornare.
Lena, Antonia, Matteo, Pietro.
Due uomini e due donne che si sovrappongono e si cercano, che sembrano quasi avere un’identità a quattro, e che – una volta dispersi dalle circostanze – (o accoppiati, come Antonia e Pietro) svaporano come un’alba. Perdono una fisionomia. Sembrano quasi non riconoscersi più, né afferrare se stessi.
Sarà forse perché la regola matematica della “sezione aurea” (coniata dai pitagorici e consistente nel rapporto fra due grandezze disuguali, di cui la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la loro somma) applicata agli uomini esige un’armonia a più voci?
O non sarà piuttosto perché l’approdo a quell’armonia è un viaggio, come quello che per circostanze diverse Antonia e Matteo compiono a ritroso nel tempo, e poi dentro di sé, alla radice dei propri sogni?
Orazio Caruso applica la metafora della sezione aurea all’esilio che ogni essere umano è, quando viene sviato dalla propria essenza, dal conoscersi e dal riconoscersi, dal navigare tra le sconnessure e le impennate della vita perdendo la proporzione col tutto, l’equilibrio tra dentro e fuori, tra anima e stelle.
Con mirabolante estro riporta i protagonisti nel luogo che li aveva messi a contatto con la realtà su se stessi, una Grecia ancora mitica per sguardi e umori, olivastri e macchie, mare increspato di blu e paesi bianchissimi come la luce. Tesse una mitologia della memoria fatta di dèi sempre vigili, eroi bronzei, acropoli accroccate su massi e strapiombi, ritte a sfidare stagioni e ripensamenti.
Ma soprattutto invita a pensare all’ Ellade che ci siamo lasciati alle spalle, impigliata nell’istante in cui eravamo noi e ciò che saremmo dovuti essere, al luogo – o al tempo – in cui era ancora possibile, se la regola della sezione aurea fosse stata rispettata, trovarci. E non tornare più indietro.
Orazio, la regola della sezione aurea rivendica i suoi diritti anche quando la realtà inghiotte i destini, anche quando la vita prende una svolta diversa dall’equilibrio e dall’essenza che la dovrebbe contraddistinguere. Perché proprio questa metafora?
All’inizio dell’ultimo capitolo il pensoso narratore di “Sezione aurea” si chiede se c’è armonia sotto l’apparente caos del mondo. Questa è la domanda chiave dell’intero romanzo. Ma la risposta invece di essere esplicitata in un saggio, con la enunciazione di una tesi dimostrata da cogenti argomentazioni, viene espressa in modo problematico, ironico ed interrogativo.
Il romanzo è il genere che meglio può descrivere la sfaccettata poliedricità della vita. Il romanzo restituisce il mondo sotto forma di domande.
L’immagine della “sezione aurea” mi è sembrata la più indicata per descrivere il bisogno di utopia che ha attraversato due o tre generazioni “calde” a partire dagli anni sessanta. Mi affascinava spostarla dal piano matematico ed estetico al piano esistenziale e politico.
E’ dunque un principio di armonia. E l’armonia, è bellezza?
È vero l’armonia è bellezza, ma è anche giustizia. Come ci insegna una grande tradizione che parte da Platone. Se c’è un legame sotterraneo che lega le cose secondo una legge universale di bellezza allora c’è una qualche speranza che i destini finiranno di incrociarsi “un po’ male”, che il dolore avrà fine.
Parlaci di questa Grecia tagliata dal sole e dal Sirtachi. Dalle danze propiziatorie di ninfe e fauni. Parlaci di questa terra ora antica ora giovane, dove i personaggi – riallacciandosi all’origine del mito – sembrano quasi riscoprirsi. Perché proprio la Grecia?
Con la Grecia ho un rapporto complesso. Ho quello che si dice il “maldigrecia”. Un desiderio infinito di andarci e tornarci, di percorrerla tutta senza trovare mai piena soddisfazione, senza poter dire mai di averne abbastanza, di conoscerla. Come un oggetto amato che ci sfugge e che non finisce mai per questo di attrarre la nostra attenzione.
Io so che tutto è cominciato ed è finito lì. La Grecia non è un punto qualsiasi del globo, è un “punto aureo”, l’ombellico del mondo.
I greci nei miti hanno squadernato l’intera gamma delle variabili esistenziali. Ecco perché prima o poi tutti noi troviamo sulla nostra via un mito che ci rappresenta e ci svela.
Il libro si snoda su più piani. C’è la malinconia dell’essersi perduti. L’ebbrezza di scoprirsi. Ma c’è anche – sempre – un conto in sospeso con l’adolescenza, col mondo di mezzo, con quella stagione della vita in cui, pur in contrasto con noi stessi, affioriamo con la nostra voce. Adolescenza e incompiutezza. O adolescenza e pienezza. Che rapporto c’è?
La giovinezza è la fase della vita in cui una persona non è ancora “arruolata”, non ha trovato la sua definizione. Il giovane “non è ancora” qualcuno, è nello stadio aureo che si può definire il regno delle possibilità. Direi, per rispondere a modo mio alla tua domanda, che l’adolescente respira la pienezza dell’incompiutezza.
Nel romanzo metto a confronto due generazioni, quella della professoressa Antonia e quella dei suoi studenti. Per la generazione di Antonia non c’era compimento individuale senza salvezza collettiva; i giovani di oggi, nella loro generalità, non vanno oltre un desiderio di realizzazione individuale.
E il tempo. Che si avvolge all’indietro. Che ci avviluppa in avanti. Che soglia esiste tra scorrere degli anni e sezione aurea?
Un romanzo deve avere un “respiro” temporale che intrecci passato, presente e futuro. I personaggi debbono sempre avere uno “spessore”: sono stati, sono e forse saranno. Anche la narrazione non può prescindere dal tempo. In genere ruota attorno ad un “grumo”, un nodo difficile da sbrogliare cui ritorna continuamente come la lingua che batte dove il dente duole. E ogni volta che vi ritorna rivela un aspetto nuovo del “grumo”, lo illumina da un’altra prospettiva. Per dirla con un’immagine: la narrazione è come un pennello che passa e ripassa sulla tela, colorandola di nuove sfumature.
Puoi parlarci dei prossimi progetti? Mi hai detto di un libro sul teatro. Sui ruoli. Sulle vite dietro un sipario. Dalla Grecia al teatro. Oppure… non c’è poi tanta differenza?
Forse sono di quelli che scrivono e riscrivono lo stesso libro. Però sono anche uno sperimentatore accanito, non scriverò mai un libro nello stesso modo. Nel romanzo che sto scrivendo, emerge un altro mio amore impossibile: quello per il teatro. Il titolo provvisorio è “Comici randagi”.
Il nucleo centrale del libro è da ricercare nella relazione complessa tra due fratelli molto diversi ma profondamente vicini. Ma poi c’è tanto altro. Una compagnia che mette in scena “Sogno di una notte di mezza estate”, un bosco da salvare, una figlia alla ricerca del padre, una riflessione miniaturizzata sulle variazioni e le possibilità dell’amore.