Sferruzzando ai margini

Creato il 22 febbraio 2015 da Tibisay
Questo post nasce da un'esigenza: la mia.
Ovvio, no, qua ci scrivo solo io… è chiaro!
Però sentivo il bisogno di mettere per iscritto dei pensieri che mi frullano per la testa. e non sono né belli né brutti, solo pensieri. E visto che qua ci scrivo solo io, quale posto migliore?
Quindi: sferruzzare ai margini.
Margini di cosa? Di tutto.
Margini nel senso di confini estremi, quasi dimenticati.
Confini d'Italia, confini della Yugoslavia, confini dell'Impero Austriaco.
E vabbè che due non ci sono più, ma nella maggioranza dei triestini sono ben presenti, perché il confine ce l'abbiamo in testa.
Perché quando andiamo a fare la spesa in Slovenia il 90% dice "in Yugo" e quando attraversiamo il confine ancora ci prende una certa apprensione, come quando in passato attraversavamo con un chilo di burro non dichiarato in borsa della nonna. Ma pochi di noi parlano lo sloveno.
Perché quando andiamo in Austria e ci chiedono come mai parliamo così bene il tedesco e da dove veniamo e rispondiamo "da Trieste", ci inorgogliamo quando ci dicono "ah, ma Trieste è ancora un pezzo di Austria". Ma ai nostri figli facciamo studiare solo l'inglese.
Perché solo qui il desiderio di autonomia è talmente forte che ci sono movimenti che vogliono staccarsi dall'Italia… e sottolineo movimentI, plurale. Perché non ci si riesce a mettersi d'accordo nemmeno su quello, tanta è l'indipendenza e il protagonismo dei triestini.
Perché solo qui la parola "bastardo" assume un significato positivo e tutti giù ad enumerare gli avi austriaci, greci, italiani, slavi e così via.
Insomma, un miscuglio di brontolamenti, nostalgia dell'età d'oro, brama di un futuro migliore, afflusso continuo di nuove genti e ritardo cronico nell'arrivo di qualunque novità.
Sferruzzare in un ambiente del genere non sempre è facile.
Di tradizione, per esempio, da queste parti si lavorava "alla tedesca", essendo di tradizione austriaca… ed invece per lungo tempo ero quasi da sola ad usare questo tipo di lavorazione. Da ragazzina leggevo i manuali italiani e pensavo "ma guarda come tiene male il filo, è tutto sbagliato!" (ero una ragazzina petulante ed un po' presuntuosa [perchè adesso no, vero? Vai via, tu!]) e ho dovuto prendere un vecchio manuale francese della mamma con la doppia lavorazione per avere un aiuto nella tenuta del filo. Si, perché la mia mamma lavorava, eccome! Aveva dei ferretti corti comprati in Gran Bretagna con i quali sferruzzava come un razzo. E mia nonna lavorava all'uncinetto con la presa "a coltello", che a moltissimi pareva sbagliata, ma intanto mi ha fatto una tovaglia in pizzo lunga tre metri.
Insomma, una famiglia di donne all'incontrario.
E così, quando ho incominciato a sferruzzare intensamente, è come se mi si fosse aperto un mondo.
ed ho scoperto le maglieriste triestine. Che, oh, sono di moltissime razze!
Ci sono le conservatrici, le amanti della tradizione, che non si schiodano dal ferro diritto nemmeno se glielo nascondi. Che "ho sempre lavorato così" e che "praticano" in segreto del loro salotto trinato senza nessuna voglia di socializzazione.
Ci sono quelle bramose di socializzazione e con cui fai subito amicizia e ti ci trovi meglio che con tua sorella.
Ci sono quelle che socializzano, si, ma solo con chi dicono loro. E che preferibilmente è già loro amico.
Ci sono le avanguardiste, che appena scoprono il magico mondo di internet si mettono ad ordinare tonnellate di accessori e lane da ogni parte del mondo.
Ci sono le viaggiatrici, che ti raccontano che questo ferri li ha presi a Istambul, che la lana viene dal viaggio in Australia, che va a Lubiana per la seta e a Vienna per l'alpaca (e tu rosichi d'invidia).
Ci sono le entusiaste, che ad ogni cosa che racconti loro la devono provare!
Ci sono le diffidenti, che ogni cosa che racconti è difficilissima, loro non ce la faranno mai.
Ci sono quelle brave bravissime che spieghi una volta una cosa e loro la sanno già fare. Con variazioni.
Ci sono quelle che ti guardano male perché fai una cosa meglio di loro e che non hanno capito che non è una gara.
Ci sono quelle che lavorano solo con quella maestra loro che hanno conosciuto 30 anni fa e non hanno mai abbandonato e se dice "salta", loro saltano senza chiedersi il perché.
Ci sono quelle che tutto quello che viene da fuori Trieste è meglio. Salvo poi ricordarsi che la Pittoni era triestina.
Insomma, maglieriste di tutti i tipi. E tutti questi tipi mi piacciono!
Perché sono parte di me, fanno parte di me, sono me.
Io devo soprattutto ringraziare lo Stitch'nd Spritz per avermi fatto conoscere le amiche che più frequento oggi, persone davvero speciali, che mi seguono (non solo a Trieste) e che io amo moltissimo. E se attraverso questo ritrovo ne sono passate davvero di tutti i tipi, le mie amate "colonne" rimangono sempre quelle.
A Trieste si lavora a maglia in modo forse un po' diverso che da altre parti, ma in fondo in fondo, è il modo giusto per questa città. Una città che ancora stenta ad entrare nel presente, che è veloce sotto alcuni aspetti e lentissima sotto altri, come le sue maglieriste.
Le maglieriste della città della Bora.
PS: rileggendo, mi rendo conto che il post si è sviluppato in un modo che non pensavo… e che avrei voluto dire tante altre cose, ma forse sarebbero state solo più confuse. E quindi così resta.

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