Sfumature delle festività natalizie

Creato il 25 dicembre 2012 da Firenze5stelle @firenze5stelle

La vita, quindi anche la festività, ha molte sfaccettature, molti modi di festeggiare o meno

Oltre i classici auguri vogliamo proporvi una visione diversa con il contributo, attraverso la rubrica ” Lettere dalla rete ” – uno spazio a disposizione dal blog per le opinioni, del nuovo arrivo tra gli scrittori del blog: Mario De Maglie la cui presentzione è al link : http://firenze5stelle.com/2012/12/23/le-collaborazioni-dalla-rete/

L’allergia alle festività natalizie di Mario De Maglie

Da qualche anno a questa parte, ho sviluppato quella che mi piace definire una sana allergia al clima natalizio. Per quanto la cosa possa apparire bizzarra, non uso festeggiare il Natale e il Capodanno, evito di fare i miei auguri e, quando non posso farne a meno, liquido la cosa con un generico e meno compromettente “buone feste”.

Spiegare il mio pensiero, ogni volta che ricevo un augurio e farlo quindi tornare al mittente, sarebbe più “folle” del pensiero stesso, di conseguenza, sono propenso a comportarmi in modo trasparente al riguardo solo con persone che fanno parte di una cerchia più intima o comunque che stimo.

Rifiuto categoricamente l’idea che ci debba essere un periodo dell’anno apposito per esprimere, in modo più esplicito del solito, affetto verso i propri cari e far loro dei doni. Non ho bisogno di creare o di approfittare di date stabilite per un abbraccio o un pensiero, uso farlo quando certe cose le sento e le voglio.

Molti vivono sicuramente un significato religioso della festività e non sono qui a metterlo in discussione, ognuno è libero di vivere la sua spiritualità. Sull’aspetto religioso non voglio soffermarmi, anche se specifico che non mi appartiene e quindi mi rinforza nei miei convincimenti.

Certo non sono un asociale, non mi tiro indietro di fronte ad un buon pranzo o ad un po’ di baldoria e comunque sono circa due settimane nelle quali il lavoro diminuisce e si ha maggiore tempo libero. Se non si volesse “vivere il natale” bisognerebbe starsene chiusi in casa e non sono disposto a questo, nonostante avverto tutta la fatica del vivere in mezzo a questo clima di gioia inculcata. Ci sono poi i ricordi, la magia dei natali di quando si era bambini, “rinunciarvi” è un pugno nello stomaco. Ciononostante la mia è una scelta sentita che mi mette in contatto con quelli che possono essere i miei bisogni e non con quelli che la società e la cultura hanno deciso per me. E’ molto faticoso scegliere di non festeggiare,è impossibile isolarsi e non essere inglobati dall’atmosfera che ci avvolge calorosamente, ma un po’ di sana resistenza mi avvicina a quello che sento realmente e mi confronta con quello che credo realmente conti in questa vita.

Mi fanno sorridere gli auguri per Capodanno in cui ognuno augura al prossimo un anno migliore del precedente, se questi avessero senso, arrivati a pochi anni di età, dovremmo già essere alle porte del paradiso. In realtà che gli auguri funzionino non ci interessa, ci basta quel retrogusto di inconsapevole superstizione che ci porta ad accantonare la ragione, cosa forse piacevole, ma inutile.

Mentre la “maggioranza” festeggia, c’è una minoranza che, in questo periodo dell’anno, tende ad aumentare e sono le persone vittime di depressione. Il benessere esteriorizzato e l’allegria sfacciata per le strade contrastano con chi invece è concentrato su una interiorità ben diversa. Anche le feste hanno la loro “casta”, per quanto maggioritaria. Non sono solo sentimenti di pace e amore quelli che circolano,anzi il cercare di imporli crea terreno fertile per tutti gli altri, noi lo sappiamo e lo sentiamo, ma nessuno è in grado o vuole gridare, come il bambino in quella famosa favola, che il re è nudo.

Concludo lasciando la parola a due autori che in proposito hanno detto qualcosa di significativo. Il primo è un Charles Bukowski breve e conciso, il secondo è un Antonio Gramsci che vale la pena di essere letto nella sua interezza.

“E’ Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti. Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese.”

Charles Bukowski

“Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.”

Antonio Gramsci

 

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