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La giovane regista e produttrice milanese Maria Elisabetta Marelli, di fronte all’impellente interrogativo sulla veracità di taluni “bizzarri” comportamenti del celebre critico d’arte-politico-giornalista e tutto fare Vittorio Sgarbi, ha compiuto un gesto che si potrebbe definire, usando le parole del diretto interessato,“folle”. Onorando – o facendone forse un cattivo uso – quell’estetica del pedinamento tanto cara a Zavattini, la Marelli, armatasi solo di camera a mano e tanta pazienza, ha seguito Vittorio Sgarbi per trentasette giorni nell’arco di tre mesi, durante i quali il difensore delle meraviglie italiane – come va professandosi – ha visitato 42 mostre, 35 chiese, rilasciato 73 interviste, preso parte a 27 conferenze, pernottato 31 alberghi e trascorso piacevoli momenti con 18 “amiche”. Sgarbistan (il regno di Sgarbi non conosce limiti spazio-temporali, ma è un territorio pressoché infinito che assume i confini del luogo in cui egli stesso si trova, piccolo guscio di noce di cui si sente il re) suggerirebbe fin dal titolo una presentazione in chiave comico-grottesca del personaggio, di cui la regista ha filmato ben 190 ore di vita, raggruppate poi in settantacinque minuti, che Sgarbi stesso ha commentato definendolo un trailer dell’opera a venire. Da far venire i brividi.
L’occhio muto della telecamera, si sofferma con un montaggio frenetico e vertiginoso, che ben onora lo stile di vita del suo soggetto, sui quei famosi atteggiamenti sgarbiani che lasciano ancora scossi per la loro volgarità taluni ed esaltano altri contribuendo a rendere Sgarbi un vero e proprio fenomeno mediatico nell’olimpo del triste star-system italiano. Le riprese, a “maglie larghe” della Marelli, accolgono generosamente ogni momento della quotidianità del critico, cercando di scoprire se quella degli scrosci d’insulti televisivi e delle volgarità gratuite sia solo una maschera utile alla sopravvivenza nella società dello spettacolo. Sotto questo aspetto si può dire che la giovane e coraggiosa regista sia perfettamente riuscita a raggiungere il suo obiettivo e a svelare l’arcano, mostrando come il ritratto che ci viene fornito dai mass media di Sgarbi non abbia,ahimè, nulla di artificioso o costruito.
Il critico viene ritratto come un esteta sensibile e viscerale, un amante, si potrebbe dire, capace di passioni e moti nei confronti di un quadro come di una donna, di un libro o di una pizza. Questo atteggiamento quasi bulimico è in un certo qual modo nobilitato e motivato dallo stesso critico, che afferma come la sua indubbia (onni)presenza derivi proprio da un costante – e non sempre indispensabile – tentativo di essere a ogni possibile pubblico evento. Sgarbistan è quindi un’opera ibrida, a metà strada tra l’agiografia, il film comico, la parodia e il reality show – di cui, non si dimentichi, Sgarbi è il nume tutelare. Il dubbio che se ne trae è che il critico ferrarese sia così profondamente immerso nel mondo dell’arte da non riuscire più a distinguere il confine con la vita, facendo della sua privata esistenza – posta che ancora ne esista una – , uno spettacolo grottesco e certamente non necessario. Se da un punto di vista filmico-documentaristico la Marelli ha dimostrato un’ineguagliabile e del tutto immotivato coraggio nel scegliere di tallonare Vittorio Sgarbi in lungo e in largo per l’Italia; il suo prodotto trova una giustificazione solo nel brio e nel flusso incessante d’immagini e situazioni in cui il suo soggetto viene a trovarsi. Erica Belluzzi
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