Sale a Flaminio, nel tardo pomeriggio, sul trenino della linea Roma-Viterbo. Ha una maglietta nera, capelli corti tinti di un rosso intenso, una borsa rossa e nera di una nota marca spagnola che spopola da qualche anno anche in terra italica, e dei vistosi bracciali di pelle. La matita nera intorno agli occhi e lo smalto scuro le donano, insieme all’aria da femme fatale un po’ alternative, un fascino inarrivabile alle comuni lavoratrici mortali, a quell’ora inesorabilmente distrutte. Difficile leggere il titolo del libro che tiene in mano, ma intuisco che c’entra Douglas Adams.
Poco meno di una settimana dopo, sullo stesso trenino ma ad un orario diverso e in direzione opposta, si palesa una ragazza seduta di spalle. Ha mani un po’ tozze, una maglietta chiara un po’ spiegazzata e i capelli rossicci, stavolta leggermente unti. Riconosco la borsa, riconosco i bracciali, fossi di fronte a lei ne riconoscerei anche il viso. Noto il suo segnalibro improvvisato che riporta la pubblicità del mercatino natalizio giapponese del Black Out e tiene il segno a pagina dieci dello stesso libro di una settimana prima: Shada – l’avventura perduta di Douglas Adams, di Gareth Roberts.
Il quadro mattutino l’ha già riportata a una dimensione terrena, ma è il brufolo che fa capolino dalla nuca scoperta dai capelli a renderla definitivamente umana. E – finalmente – anche molto più simpatica.
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