Nonostante sia sparito dalle scene da qualche mese, il remake di Shadow of the Beast (titolo uscito originariamente nel 1989) è vivo e vegeto e si prepara a vedere la luce su PlayStation 4. Lo abbiamo provato.
Francesco Fossetti scrive di videogiochi -fra una cosa e l'altra- da più di dieci anni, e non ha ancora perso la voglia di esplorare il mercato con vorace curiosità. Ammira lo sviluppo indie e lo sperimentalismo, divora volentieri tutto il resto. Lo trovate su Facebook, su Twitter e su Google Plus.
Nonostante sia scomparso dalle scene per un bel po', il remake di Shadow of the Beast è vivo, vegeto e -se tutto va bene- arriverà su PlayStation 4 nel mese di maggio. Ce lo conferma Matt Birch, fondatore del team Heavy Spectrum, che negli ultimi tre anni è stato completamente assorbito dallo sviluppo del prodotto. Matt, a sentirlo parlare, ti dà l'idea di essere il più grande esperto al mondo del titolo uscito su Amiga nel 1989: sa proprio tutto, e quando comincia a parlare di quello che è il suo gioco preferito, non la smette più. Ti fa vedere la scansione della copertina originale dell'epoca, e ti spiega che i mostri che ha disegnato per il quarto livello sono ispirati a quelli -in verità mai inseriti nel gioco- che si notavano in lontananza sull'artwork della confezione. La sua passione per Shadow of the Beast è quasi maniacale, ossessiva: tanto che all'interno del remake ha voluto inserire non solo una versione digitalizzata del libretto, ma persino il gioco originale, anche se questo lo ha costretto a sviluppare appositamente un emulatore che leggesse il codice del software Amiga. Gli occhi con cui ti guarda mentre racconta cosa abbia significato per lui il titolo pubblicato da Psygnosis sono pervasi da un amore che sembra inesauribile. Al di là del valore affettivo ed enciclopedico che avrà questa esclusiva Ps4, a noi interessa però sapere se la reinterpretazione di questo classico funzione bene. Abbiamo provato una versione sostanzialmente completa del gioco, e siamo costretti a confermare i dubbi che già avevamo avanzato dopo le prime prove di qualche anno fa.
La furia della bestia
A colpire immediatamente di Shadow of the Beast è l'imponente caratterizzazione del mondo immaginario di Karamoon. I panorami acidi e sabbiosi si rivelano sapientemente inquadrati da una telecamera dinamica, che allarga e stringe le inquadrature durante l'esplorazione a scorrimento orizzontale, permettendo al giocatore di godere dei ricchi e dettagliati sfondi anche durante i combattimenti più furiosi. Attraverso i sette livelli di gioco si scopre un mondo stravagante, che vuole mescolare i tratti di un fantasy rude e lisergico ad alcuni elementi sci-fi. Negromanti dal sangue fluorescente evocano uomini-pesce che escono da laghi rossi come il sangue, mentre in lontananza si muovono pachidermiche creature meccaniche: robot giganteschi che solcano questa terra fatta di ingranaggi e magie. Complici le scelte cromatiche estreme, il colpo d'occhio è intriso di un fascino crudele, lo stesso che aveva, all'epoca dell'uscita, il titolo originale. Anche il gameplay cerca di avvicinarsi a quello visto su Amiga. Dei due attacchi a disposizione del protagonista, uno infligge pochi danni ma stordisce per qualche istante gli avversari, mentre il secondo serve a liberarsi velocemente dei malcapitati con cruente finisher. Bastano pochi secondi pad alla mano per rendersi conto che Shadow of the Beast basa buona parte del suo gameplay sul puro tempismo, sia durante l'esplorazione sia quando si combatte. Se già nelle prime fasi di gioco questo concetto si rivela fondamentale, con il complicarsi delle schermaglie il timing diventa davvero un dogma, e va ad interessare ogni aspetto del gioco. Sfruttando adeguatamente l'impostazione 2D a scorrimento orizzontale, in alcuni momenti gli sviluppatori "bloccano" volutamente il progresso del giocatore, e lo costringono a confrontarsi con gruppi di nemici che arrivano da entrambe le direzioni. Proprio in questi frangenti la difficoltà si impenna, considerato anche il fatto che la parata di cui il protagonista dispone funziona solo se il colpo arriva dalla direzione verso cui è rivolto. Tenere a bada attacchi che arrivano contemporaneamente da destra e da sinistra diventa una sorta di balletto fatto di movimenti precisi, dove un solo errore può costare uno dei preziosi punti vita di cui Aarbron è dotato. Questi ultimi non si rigenerano automaticamente, ma possono essere riguadagnati solamente con un attacco speciale, che consuma una delle tre barre della "ferocia" a disposizione del bestiale protagonista. Gli indicatori si ricaricano gradualmente con ogni colpo andato a segno, e permettono di utilizzare anche vari attacchi speciali.
Una bestia anticaSviluppato da Reflections e pubblicato su Amiga da Psygnosis nel 1989, Shadow of the Beast non è certo uno di quei capolavori del passato di cui bisogna per forza conoscere la storia. Le sanguinose avventure di Aarbron, semplice uomo rapito da bambino, corrotto da un'oscura magia e in cerca di vendetta per i torti subiti, si traducevano in un classico action a scorrimento orizzontale, caratterizzato soprattutto dalla notevole violenza grafica delle eliminazioni in corpo a corpo. Nonostante il gameplay non fosse certo rivoluzionario, il gioco ha conosciuto un successo commerciale di tutto rispetto, portando alla pubblicazione di ben due seguiti.
Nel complesso, il sistema di combattimento non ci ha particolarmente impressionato: la colpa, oltre che di un concept abbastanza limitato, è anche di animazioni un po' legnose e poco reattive, che spesso rendono l'azione abbastanza frustrante. A preoccuparci di più è tuttavia la varietà di situazioni e la struttura dei livelli: quelli che abbiamo giocato o osservato ci sono parsi abbastanza lineari, composti da sezioni "stagne" e indipendenti, che alternano scontri furiosi a timidissime sequenze platform. Arrivare alla fine degli stage non sembra molto complesso, e semmai sarà più difficile evitare di essere colpiti e conservare il contatore delle combo per massimizzare il punteggio. Cercare di guadagnare uno score da "medaglia d'oro" in tutti i settori degli stage sarà un'impresa a cui si dedicheranno soprattutto i completisti, visto che sarà questo l'unico modo di sbloccare i filmati che raccontano i retroscena della storia e fanno il punto sui misteri del mondo di gioco. Ci chiediamo, tuttavia, se per chi non è pervaso da una passione trascinante come quella di Matt valga davvero la pena impegnarsi così tanto, sopportando la precisione non proprio esemplare del gameplay. Se pure doveste essere fan sfegatati dell'originale Shadow of the Beast, comunque, dovreste preoccuparvi della durata complessiva dell'esperienza.
Ciascun livello, del resto, si porta a termine in circa quindici minuti: visto che ne sono presenti sette (l'ultimo dei quali è in verità una rapidissima Boss Fight), il conteggio non dovrebbe risultare troppo complesso. A meno che la versione finale non riservi qualche sorpresa, insomma, Shadow of the Beast rischia di essere un'esperienza fin troppo condensata. É vero che in ogni stage ci sono dei collezionabili da raccogliere, e che fare e rifare gli stessi livelli ci permette di accumulare mana, con cui poi sbloccare alcune abilità passive legate all'accumulo ed al consumo di ferocia; ma anche in questo ci sembra che l'operazione sia dedicata esplicitamente agli irriducibili. Non vorremmo, insomma, che l'amore quasi monomaniaco del creatore di Shadow of the Beast abbia determinato importanti errori di valutazione sulla solidità dell'offerta.
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