Hong Kong è un insensato budello, brulicante di anime perse. Vive, respira, si contorce. Un cancro inarrestabile sta divorando la decadente megalopoli asiatica e noi ci siamo finiti dritti in mezzo. Chissà, poi, per quale motivo ci troviamo dall’altra parte del mondo. Perché mai ci è venuto in mente di abbandonare Seattle per accorrere, senza esitazione, alla misteriosa chiamata di un patrigno che ci ha abbandonati ormai da anni. Forse perché, nonostante tutto, è l’unica famiglia che abbiamo mai avuto o, forse, perché anche noi abbiamo i nostri peccatucci da espiare. Ad ogni modo eccoci qui, giunti in una fredda e piovosa notte qualunque, al fetido porto di Hong Kong. Sbarcati, veniamo avvicinati dal nostro fratellastro che ci accoglie freddamente. Un mezz’orco che, al contrario di noi, si è rifatto una vita fuggendo dal proprio ingombrante passato. Entrambi, però, allevati e gettati in pasto sin da giovanissimi al becero crimine di bassa lega dallo stesso uomo che chiamiamo “padre” e che, per qualche motivo, ora ci vuole accanto a sé.
Ci incamminiamo verso il luogo dell’appuntamento, ma il sesto senso ci anticipa che le cose non andranno per il verso giusto, come comandano i dogmi del genere. E così sarà. Caduti in un’imboscata, costretti a fuggire e a nasconderci, nell’impossibile tentativo di capire cosa si nasconde dietro la scomparsa del patrigno ed il motivo per il quale lo vogliono tutti morto. Non c’è spazio per la speranza. Ora, infatti, cercano anche noi. Siamo costretti ad addentrarci nella sozzura che straripa dai vicoli bui e maleodoranti, i quali non sono altro che lo specchio della grondante amoralità dei sui abitanti, bagnata dall’intermittente, asettica, luce delle insegne al neon che promette, agli ingenui, vite brillanti e piene di successi. Persone lacere, triadi senza scrupoli, esponenti delle potentissime corporation, contrabbandieri di componenti elettronici, droghe sintetiche ed innesti cibernetici, stelle dello spettacolo, ghoul e demoni. Ognuno, a suo modo, cerca il proprio posto nel mondo, sguazzando nel fango della difficile sopravvivenza che la città offre. Noi invece per farlo ci dobbiamo arrabattare in una città sconosciuta, affidandoci a personaggi della peggior specie, per risalire la china.
NIENTE È PER NIENTE
La terza installazione del brand Shadowrun si presenta così, ancora una volta bellissima e crudele. Come avrete capito, muta il luogo, ma l’ambientazione rimane splendidamente fedele ai precedenti capitoli, attingendo a piene mani dall’universo narrativo, immenso e in costante evoluzione, che tanta fortuna ha portato al GDR cartaceo, nato ormai la bellezza di venticinque anni fa. Per chi ancora non lo conoscesse, Shadowrun è un tactical RPG che propone un futuro post-industriale decadente, distopico e grottesco, in cui mega corporazioni e compagnie private governano i destini delle diverse regioni del globo e della moltitudine di razze costrette forzatamente a convivere le une accanto alle altre. Ancor di più, il set solitamente è caratterizzato da una strana mescolanza di tecnologia e arti magiche. Sarebbe troppo dilungarsi sui motivi per i quali le meraviglie tecnologie coesistono con la magia; ci limitiamo a dire che quest’ultima fece la sua ricomparsa nel mondo a seguito di un cataclisma di proporzioni globali.
Dai “Free State” e dall’anarchica Berlino del precedente episodio, ora i talentuosi ragazzi di Harebrained Schemes cambiano totalmente set, portandoci dall’altra parte del mondo in una megalopoli che non ha nulla da invidiare alle ambientazioni occidentali; anzi, aggiunge il sempiterno fascino cyberpunk decadente mescolandolo sapientemente all’esotico, grazie ad una splendida e molto profonda caratterizzazione di ambienti, sotto-culture, tradizioni e personaggi. Shadowrun: Hong Kong è tutto questo e molto, molto di più. L’esperienza maturata dagli sviluppatori con i due capitoli precedenti ha permesso di giungere ad un episodio razionale, finalmente privo di particolari spigolature o grevi incertezze. Un comparto narrativo spettacolare domina incontrastato la scena confermando, ancora una volta, il grande talento e l’abilità degli sceneggiatori nel dare, a tutto tondo, una coerente profondità all’universo di gioco. I dialoghi (imprescindibili ed ovviamente in inglese), le situazioni, il carattere e le reazioni degli NPC che mutano a seconda della vostra condotta morale, rasentano – per qualità e puntualità – la perfezione stilistica.
TURN BASED HONG KONG
Per ciò che concerne, invece, il profilo squisitamente tecnico ci troviamo di fronte, come anticipavamo poco più sopra, ad un T-RPG con visuale isometrica fissa, incredibilmente profondo ed articolato non solo per ciò che concerne l’aspetto narrativo, ma anche in riferimento alle opzioni di personalizzazione del nostro alter ego digitale. Varietà che passa, anzitutto, attraverso i tratti razziali e quelli prettamente dedicati a forgiare la personalità e lo stile di combattimento del protagonista. Ciò impatta direttamente sia sullo stile di gioco, sia sulle opzioni di dialogo selezionabili di volta in volta, modificando in modo dinamico lo svolgersi degli eventi ed i rapporti interpersonali con i propri compagni di sventura; ognuno caratterizzato da una storia personale tutta da approfondire. Presenza ancora una volta fondamentale è il Karma, guadagnato in base alle azioni compiute e spendibile per aumentare le skill del nostro shadowrunner, in questo episodio meglio organizzate e spiegate con una certa cura. La gestione del party passa, invece, attraverso una caterva di classi ibride, di abilità speciali (tipiche, chiaramente, per ogni classe) da poter utilizzare durante i combattimenti. Si passa dalla classica forza bruta sostenuta dalla prestanza fisica, agli agili damage dealer, sino agli evocatori, in grado di portare in vita mostruosi alleati per coadiuvare la vostra azione, e ai cracker, che possono controllare droni ed altri automi. La serie, inoltre, possiede una impostazione atipica che permette di “switchare” dal movimento in real time al combattimento a turni. Ora la fase di combattimento può essere attivata dal giocatore non appena il nemico si trova nel campo visivo del gruppo, per sfruttare al meglio il vantaggio tattico. A questo proposito, concentrandoci prettamente sul combat system non possiamo che rilevare come, in questo caso, il team di sviluppo non ha praticamente messo mano al già ottimo lavoro svolto in Dragonfall. Ne ha allargato gli orizzonti, certo, ma lo zoccolo duro rimane immutato.
La formula rimane dunque immutata. Ogni personaggio, durante il proprio turno, ha a disposizione un determinato quantitativo di AP (action points) che permettono di eseguire le più svariate azioni: movimento, attacco, difesa, abilità speciali, utilizzo oggetti. Come potete notare lo schema non si discosta poi molto da quello a cui siamo abituati. A cambiare sono i contenuti. I componenti del party infatti, a seconda della classe di appartenenza, come dicevamo hanno a disposizione abilità uniche e specifiche, che ci permettono diverse possibilità d’attacco ed approcci strategici. Coperture e bonus rivestono un ruolo fondamentale nell’economia dello scontro e sono assolutamente vitali per poter portare a casa la pellaccia. La buona IA dei nemici ci ha dato, ancora una volta, del filo da torcere, soprattutto in diversi casi in cui ci siamo trovati colti di sorpresa da un’imboscata o allorquando esigenze di trama richiedono di sopravvivere per un determinato numero di turni, magari con avversari di livello superiore al nostro. La rigida struttura a missioni, suddivise tra principali e secondarie, rimane su binari lineari e, ad esser sinceri, qualche digressione in più non avrebbe guastato per nulla.
ESOTICA DECADENZA
Dopo il paragrafo introduttivo, dovrebbe risultare chiara la forza con cui il titolo si presenta. Forse, ancor più dei capitoli precedenti, per quanto anche quest’ultimi non scherzassero affatto. Shadowrun: Hong Kong ha l’indubbio pregio d’aver traslato la grande qualità già ampiamente apprezzata in Dragonfall ed averla, al contempo, speziata a dovere, aggiungendo un intenso ed evocativo sapore esotico. Il risultato finale è una splendida e perfetta commistione tra elementi (ambientali e caratteriali dei personaggi) tipicamente orientali e la decadente – ormai classica – mitologia cyberpunk, calata in un modo distopico, brutto, violento, ma allo stesso tempo incredibilmente affascinante. Hong Kong è pur sempre una megalopoli eccentrica; ossia un incrocio di culture e tradizioni (soprattutto quelle criminali, come le potenti Triadi) che convivono, si scontrano, si fondono. Sotto questo profilo un altro plauso è da rivolgere al team di sviluppo il quale riesce nell’intento di sostenere un comparto narrativo di primissimo livello con la forza delle immagini. Unico appunto è, come al solito, la debole realizzazione dei personaggi tridimensionali. Aspetto, nonostante sia del tutto secondario, su cui comunque si dovrebbe lavorare di più. Al contrario, gli ambienti, isometrici e statici, sono impeccabili nella loro caratterizzazione e nel voler ricreare, in ogni minimo particolare, la “bruttezza” di quell’immaginifico futuro nella lontana Hong Kong.