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"Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie" ovvero il blockbuster più appassionante, adrenalinico e, cosa più unica che rara, intelligente dell'anno.
Al timone di questo sequel Matt Reeves che si dimostra incredibilmente talentuoso nel commistionare tendenze cinematografiche eterogenee, dal catastrofico al postumano, dal dramma famigliare alla tragedia dal retrofondo shakespeariano. Oltre due ore in cui il ritmo si mantiene ben saldo, con un senso di tensione che s'insinua lungo ogni inquadratura: dal primo piano che apre e chiude il film, così umano, troppo umano, a un set-up che ha l'enorme pregio di catapultarci nel mondo delle scimmie: una sorta di nuovo Eden, in cui "scimmia non uccide scimmia", un secondo nuovo mondo non più popolato da indiani. Con un valore metaforico altissimo Reeves centra il punto mostrandoci l'utopia di una nuova civiltà basata sull'amore, sul rispetto e sulla fratellanza. La civiltà aurorale delle scimmie intelligenti si contrappone a quella devastata degli uomini e il contrasto funziona meravigliosamente. Ma quella a cui assistiamo è la parabola discendente della Storia, di tutte le storie, destinata a ripetersi fino alla catastrofe: il peccato che macchia il Paradiso, il sangue come il germe di un'inevitabile caduta, un senso del tragico intrinseco nella struttura stessa della civiltà. Con un fatalismo che manovra tutto il film, intriso di congiure degne dell'Antica Roma, l'aspetto - non nuovo ma interessante - è la propagazione del male e della violenza all'interno di questa civiltà caduta: un esercito improvvisato che porta il male che non vuole ma che è costretto a fare. Come in un perfetto meccanismo a orologeria, con sequenze apocalittiche e un "cattivo" che emerge dal fuoco con la violenza iscritta negli occhi, "Apes Revolution" è un concentrato di archetipi tragici, tutto volto, ancora una volta, a riedificare il Mito e a rilanciare l'avventura. Quando un blockbuster non è solo divertente, ma diviene addirittura memorabile.
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