“Sappiamo ciò che siamo, ma non sappiamo quello che potremmo essere”.
— Ofelia, Amleto Atto 5, scena 4
Così parla la follia di Ofelia. Ci troviamo in un castello, ad Elsinore. Una donna impazzisce, e si riflette sul nulla. Una realtà marcia, come lo stato di Danimarca. Ed è proprio in faccia a Claudius che dice questa frase, quasi a volerlo sfidare. Canta della morte del padre e dell’amore infranto con Amleto. Come un’immagine speculare, Ofelia ha subìto la sua stessa perdita, e da questo sgretolamento di se stessa, si mostra per ciò che è. E’ diventata lo spettro che teneva nascosto.
Questa frase è la descrizione dell’umanità.
Non sappiamo chi potremmo essere, né conosciamo le azioni che le circostanze ci porteranno a compiere; è in questo modo che il principe di Danimarca si trova smarrito, vittima del suo destino.
Amleto. Si guarda allo specchio e cerca di capire chi è. Questo è il più grande dei quesiti: “Chi o COSA siamo?”
Ecco una delle tante domande a cui Shakespeare ci sottopone, le stesse che dobbiamo risolvere quando ci immergiamo nelle sue opere.
E’ proprio di questo specchio che voglio parlare, di un riflesso. I personaggi di Shakespeare siamo noi, protagonisti della nostra vita.
Un rapporto tra padre e figlia, la vendetta, l’incertezza, la scoperta, la gelosia, la perdita e il tradimento diventano un’esperienza personale. Sanno di realtà.
Anche se i personaggi si trovano in un’epoca diversa, è come se il tempo non ci fosse, e li sentiamo qui, vicini, come una porta che collega due mondi.
Le opere di Shakespeare non sono soltanto un’espressione artistica, ma vere e proprie proiezioni di quello che siamo e che potremmo essere.
Amleto è incerto, titubante. Un riflesso di luce scruta al suo interno nel momento in cui si pone delle domande. Cos’è lui davvero? E’ disposto ad andare contro la sua natura e seguire il volere di uno spettro? si ferma, e pensa. E durante tutta l’opera cambia.
Ed è proprio davanti ad uno specchio che si ritrova a recitare “To be, or not to be” nella rappresentazione dell’Amleto di Branagh. La scelta di questo elemento non è un caso. Mentre scruta la superficie riflettente vuole scoprire se stesso. La stessa cosa vuole fare Shakespeare, con la proiezione di scene quotidiane dentro contesti del tutto estranei allo spettatore. Da qui vediamo che la stanza di un castello si trasforma in una casa qualsiasi, dove non ci sono principi, ma persone spogliate delle loro scorie, per esprimere le debolezze tipiche di ogni essere umano.
Un’opera in cui non importa ciò che accada, il protagonista è vittima del suo destino, viene trascinato dagli eventi, fino a rimanerne scioccato, per poi lasciarsi andare al corso della vita, che in un certo qual modo ha distrutto lui stesso. Quante volte ci facciamo trasportare dalle emozioni, così tanto da rovinare quello che invece volevamo tenere stretto a noi, come un fiore che nessun altro ha il permesso di toccare?
E’ in questo modo che Shakespeare espone la vita, prima crea personaggi veri e vivi, e poi li sgretola, fino a mostrare la loro nudità, come esseri fragili ma allo stesso tempo consapevoli, pedine che giocano in un intreccio senza fine.
L’intreccio si lega alla nostra quotidianità, per fare questo Shakespeare si serve di personaggi di ogni tipo, e in un misto di cose e caratteristiche differenti troviamo la rappresentazione della nostra vita.
Una delle tipiche rappresentazioni è quella dei personaggi femminili, che occupano ruoli secondari, ma ogni donna presente in queste opere non osa mai essere passiva, al massimo ubbidiente. Così è la stessa Ofelia, che alla predica fattagli dal fratello, sul vietargli di vedere Amleto, risponde con una frase cordiale ma pungente, anche se dopo sarà costretta a cedere sommessa al volere del padre. La voglia di rompere i limiti che i suoi le hanno imposto scoppia nella follia. Questa stessa follia è quella che scatta ogni volta che una donna è maltrattata, costretta, rinnegata. Shakespeare evidenzia fatti sociali oltre che artistici, che si ripercuotono, speculari, fino ai giorni nostri. Lo confermano altri personaggi trattati da Shakespeare, come per esempio Ermione di Il racconto d’inverno, e Lady Percy in Enrico IV.
La prima è costretta a sottostare all’eccessiva gelosia del marito, che la imprigiona dopo averla accusata di adulterio. Ermione da parte sua, anche se in condizioni pietose, riesce sempre a mostrare dignità e forza interiore.
Lady Percy invece vorrebbe sapere, essere partecipe della destinazione del marito, ma la collaborazione non viene accettata. La denigra affermando di non amarla, per poi dirle che non si fida di lei, perché donna.
Una donna che lotta per la sopravvivenza, senza mai darsi per vinta. Un’altra che aspetta con pazienza il marito andato in guerra, che non tornerà mai più.
Quanti dibattiti farebbero aprire questi episodi al giorno d’oggi? Shakespeare analizza la società. Quello che ci propone non è estraneo.
Qualsiasi persona che incrocia il nostro sguardo potrebbe essere Amleto, Ofelia, Ermione, Prospero. Si mischiano a noi, come il vapore di una stessa nuvola, e danno vita a quello che altrimenti sarebbe rimasto nel nulla: un riflesso della nostra esistenza, finalmente riportato alla luce.