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Cronaca di uno scandalo annunciato. Era quello di "Shame" un debutto molto atteso non solo per una distribuzione italiana che fin qui aveva ignorato il regista britannico, autore di un opera prima, "Hunger", incentrata sulla morte dell'attivista nordirlandese Bobby Sands, che aveva fatto gridare al capolavoro, ma anche per l'esposizione di varie e continuate nudità, che almeno nel caso di Michael Fassbender, uno degli attori più hot del momento, comprendevano anche un full frontal di cui molto si vociferava. E se, come era prevedibile, "Shame" non sposta in avanti neanche di un millimetro l'immaginario erotico del nuovo millennio - le performance dell'insaziabile sciupafemmine rischiano di far sorridere per ovvietà, anche visiva, i normali frequentatori delle sale - così non si può dire sul piano dei contenuti, che sulla scia del reportage esistenziale di una vita obbligata a fare i conti con una compulsività sessuale al di fuori del normale - uomo di successo, Brandon riesce a trovare un parziale appagamento solamente nel soddisfacimento delle proprie pulsioni sessuali soddisfate lontano da qualsiasi legame affettivo - ripropongono in chiave moderna l'incomunicabilità e la solitudine dell'uomo moderno. Un urgenza che il film traduce prendendo le distanze da qualsiasi considerazione morale o sociologica ma limitandosi a registrare la progressione, alienante e distruttiva, con cui Brandon arriverà al punto di rottura, quello in cui dopo una notte da incubo, sarà costretto a fare i conti con se stesso e con le cause di quel comportamento.Se "Shame" è un film di un uomo che non riesce a guardasi dentro, che rinuncia alla propria interiorità per una vita vissuta sulla superficie delle cose, che nasconde la propria vergogna sotto l'eleganza degli abiti firmati allora l'accuratezza visiva e la sobria eleganza con cui Mc Queen filma le imprese del suo protagonista sono sul piano filmico la risposta più coerente che il regista possa dare alle premesse della sua opera. Gli occhi diventano quindi un barometro emotivo a cui affidare l'unica possibilità di comprensione. Ad aiutarli i riferimenti cromatici, lividi e poco luminosi, ad indicare l'ineluttabile senso di morte che pervade tutto il film e lo sguardo affascinante ed ambiguo del suo protagonista. E' da li che il film inizia e finisce. Da quell'espressione ogni volta uguale eppure nuova per le variegate conseguenze indotte sull'oggetto della loro seduzione. E' inutile mettersi in ascolto, "Shame" è un film da vedere.
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