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Shane Carruth: timelines

Creato il 14 agosto 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Shane Carruth nasce a Myrtle Beach, South Carolina, nel 1972. Una ventina d’anni dopo frequenta la facoltà di scienze matematiche presso la Stephen F. Austin State University; in seguito inizia a lavorare come ingegnere elettronico, tra i suoi lavori la progettazione di un software per la simulazione di volo. Durante questo periodo scrive un romanzo che assume la forma di una sceneggiatura, grazie allo stile elusivo e privo di dialoghi col quale compone l’opera. Questo script si trasforma in quel cult movie che è Primer, esordio cinematografico di Carruth, pellicola low budget – solo 7.000 dollari – che nel 2004 vince il Gran premio della giuria al Sundance Film Festival.

Dopo tre anni trascorsi a lavorare al montaggio del film, il regista può finalmente godersi il successo, ma passeranno ben nove anni prima che riesca a realizzare una nuova pellicola. Nel frattempo scrive l’ambiziosa sceneggiatura di A Topiary, che, nonostante l’interessamento produttivo di Steven Soderbergh e David Fincher, non riesce a trovare i necessari finanziamenti per essere realizzata. Il regista non si perde d’animo e, con grande sorpresa di pubblico e critica, nel 2013 presenta al Sundance Film Festival la sua opera seconda: Upstream Color. In questo momento sta faticando affinché il suo prossimo progetto, The Modern Ocean, riesca a vedere la luce.

Primer

Questo sintetico excursus biografico cerca di dare l’idea del bizzarro percorso di Shane Carruth, una sorta di alieno nel mondo della cinematografia, come testimoniato dai molteplici ruoli che ha ricoperto durante la lavorazione dei suoi film: produttore, sceneggiatore, montatore, musicista, attore e ovviamente regista. Proprio ciò, insieme a un’estrema libertà che prende la forma di una coerenza di ferro, rende il lavoro di questo cineasta tanto speciale. Si tratta difatti di cinema di fronte al quale non si può rimanere indifferenti. Unendo le atmosfere “malate” di Cronenberg, lo spirito dei mindfuck movies di Lynch e l’approccio lirico di Malick, si può solo amare o odiare il lavoro di quest’alfiere del cinema indipendente.

Nel suo cinema tutto ruota intorno al tempo: quello necessario al regista per realizzare i film, quello necessario allo spettatore per assorbirne il contenuto, quello che lega i personaggi dei suoi lavori in peregrinazioni circolari all’interno di un eterno presente. Molti spettatori si sono divertiti a speculare intorno alla sua opera d’esordio, elaborando strane teorie o compilando grafici e tabelle per chiarire la scansione temporale della storia, ma, come più evidente con la struttura di Upstream Color, tutto si lega, tutto è connesso in un unico grande cerchio. Inutile cercare di raccontare la trama di queste pellicole, non solo è assai complicato ma anche poco proficuo dato che si tratta di vere e proprie esperienze visive, pertanto richiedono un’unica cosa: essere viste.

Upstream Color

Cercare un significato dalla visione, invece, è un lavoro differente, in cui è inevitabile dividersi tra chi ritiene che non ci si sia una sola direzione nella lettura di queste opere e chi, come il sottoscritto, vede un piano lucidissimo – perfino troppo – nella meccanica costruzione del caos narrativo del regista. Non vogliamo scoprire troppo le carte in questo breve invito al viaggio nel cinema di Carruth, per questa ragione armatevi di pazienza e affrontate questi puzzle che rappresentano quanto di più libero ha offerto il cinema americano degli ultimi anni.

Rosario Sparti


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