Un grammo della mia fede, al posto di tutta la vostra scientifica incredulità.
Terzo appuntamento con Josef von Sternberg con Marlene Dietrich, e nuova riproposizione dell'esotico in salsa Paramount, nessun film come Shangai Express (1932) presta tanta attenzione al tema della fede, del credere, sebbene ciò si risolva inesorabilmente nel tema molto più terreno delle illusioni. Non sono ancora le illusioni in vendita di Scandalo internazionale, più tardo e appartenente a tutt'altra fase della cinematografia della Dietrich; e non sono neanche le illusioni del mezzo che falsifica, come in Quinto potere di Sidney Lumet, per esempio; ma sono e rimangono la distanza tra ciò che si crede e ciò che si vede.
Stavolta il gioco dell'esotico si fa più spinto e spericolato, giacché il paesaggio cinese è anche sfondo, non di una guarnigione militare come in Marocco, ma addirittura di una guerra civile. Che Sternberg volesse osare, l'aveva dimostrato già nel 1931, quando, in Disonorata, affida alla sua perla il ruolo di un agente segreto che protegge e fa fuggire l'uomo che avrebbe dovuto consegnare alla giustizia (una sorta di precedente melodrammatico de Le vite degli altri). Ma questa è Marlene: destinata a tradire la sua causa, il suo Pigmalione, ama rappresentarsi di fronte alla sua camera anche come colei che è pronta al sacrificio, alla prova definitiva per amore. Nel caso di Shangai Express, avrebbe seguito uno squallido anarchco cinese, in cambio della liberazione del suo amato cap. Harvey (Clive Brook).
Viaggio surreale da Pechino a Shangai, tra personaggi romanzeschi, redenzione delle anime e redenzione delle credenze, maschere fisse e improvvisi rivolgimenti, prostitute assassine e prostitute salvifiche, Shangai Expressmantiene le promesse di un sodalizio che nel 1932 è già giunto al quarto titolo.Film impegnativi a loro modo, ma mai troppo (fatta, forse, eccezione per il difficile, durissimo L'angelo azzurro), godono di sceneggiature figlie della migliore drammaturgia contemporanea, quasi a rispondere aalle accuse che circondano il cinema sonoro di vuotezza e irrilevanza rispetto alle dinamiche del muto.
Eppure, proprio Shangai Express, film nel quale Marlene non canta, è un'omaggio visivo di superba fattura ad una dea ormai iconizzata (sempre a proposito di fede e dei suoi oggetti): stupendamente incorniciata dai suoi abiti, dai pellicciotti e dall'inquadratura, con il fuoco sul suo sguardo maliardo eppure in qualche modo generoso, sia pure tra le pieghe della vita. Biondissima divinità sensuale, che incontra dopo cinque anni - più o meno il periodo dell'esplosione del suo successo - l'uomo che aveva imparato ad amare prima, in Shangai Express, Marlene si sottrae esplicitamente al suo ruolo di bambola del sesso: è una donna che ama, sia pure nello spazio transitorio di una stazione.
Magazine Cinema
Shangai Express di Joseph von Sternberg. Le illusioni, non posso ridartele
Creato il 16 agosto 2011 da SpaceoddityPossono interessarti anche questi articoli :
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