Il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe e il suo partito, il Partito Liberal-Democratico (PLD), non hanno mai fatto mistero di considerare la Costituzione del 1946 irrispettosa dei simboli nazionali del Giappone, nonché di intralcio alla sicurezza nazionale del Paese e all’efficace controllo politico della società civile1. Per queste ragioni il governo a guida liberal democratica in carica dal 2012, ha intrapreso un processo di rilettura e modifica del testo costituzionale, incentrato sulla revisione del ruolo delle FAD (Forze di Auto-Difesa) e quindi del ruolo anti-militarista del Paese.
Quello attuale non è il primo tentativo di revisione dell’art. 9 della Nihon-koku-kenpō. Già nel 2007 infatti Abe aveva tentato di avviare un processo di rilettura costituzionale, non andato a buon fine a causa delle dimissioni del Primo Ministro e a causa della breve durata in carica dei governi successivi. Successivamente alla sua rielezione nel 2012 Abe ha fatto della modifica dell’articolo 9 una priorità, trovando sostegno e opposizione trasversali a livello sia politico-partitico sia sociale.
Ciò non stupisce, considerato il singolare processo di elaborazione della costituzione del Giappone e le conseguenti differenze di percezione del testo da parte delle diverse componenti del Popolo giapponese.
La Nihon-koku-kenpo e il “pacifismo costituzionale”
Nel 1946, successivamente alla dichiarazione di Potsdam, gran parte del dettato costituzionale venne predisposto da due ufficiali americani: Milo Rowell e Courtney Whitney. Benché ad essi venne formalmente richiesto di tener conto della Costituzione Meiji, delle richieste dei legislatori giapponesi e delle opinioni dei leader politici pacifisti dell’epoca, diversa fu l’impressione di parte dei giapponesi, che nel corso dei decenni hanno alacremente criticato il testo della Nihon-koku-kenpō, ritenuto non solo un’imposizione degli Stati Uniti durante il periodo di occupazione, ma anche un combinato di norme poco aderente allo spirito nazionale del Giappone, alla sua storia e ai valori prevalenti della società a cui si riferiva.
Il testo costituzionale nipponico è stato definito negli scorsi decenni un esempio di pacifismo puro proprio in virtù dell’articolo 92, in cui era contenuta non solo la rinuncia alla guerra ma al diritto di belligeranza in generale. La lettera del dettato costituzionale comporterebbe persino la rinuncia del Giappone a difendersi autonomamente in caso di invasione. Si tratta di una “lacuna” significativa, alla quale gli Stati Uniti cercarono di porre rimedio nel 1952 con la stipula di un trattato di sicurezza e cooperazione con il Giappone, il Treaty of Mutual Cooperation and Security between the United States and Japan (AMPO)3.
Il trattato, oltre ad aver permesso agli Stati Uniti di intervenire per il mantenimento della pace in Asia Orientale, ha conferito alla potenza occidentale anche un significativo potere di ingerenza nelle questioni domestiche nipponiche. L’AMPO stabilisce che qualsiasi attacco contro il Giappone o contro gli Stati Uniti, perpetrato all’interno dell’amministrazione territoriale giapponese, costituirebbe una minaccia alla sicurezza dei due Paesi e prevede dunque la presenza di basi militari americane in Giappone per favorire tempi di reazione rapidi ad eventuali minacce, garantendo inoltre agli USA un importante avamposto nel Pacifico4.
Mediante l’AMPO al Giappone fu permesso altresì di ricostruire le proprie forze armate, ma con il nome di Jieitai, “Forze di Autodifesa” (FAD o Japan Self Defence Forces – JSDF). Per rispettare il dettato dell’art.9, le FAD sono state costruite secondo un’impostazione peculiare: tecnicamente il personale è composto da soli civili, classificati come “civili speciali in servizio” e non catalogabili quindi come militari stricto sensu5. Nonostante questa singolare condizione giuridica tuttavia, le FAD si trovano al decimo posto per potenza tra gli eserciti mondiali6.
Il processo di modifica dello status militare giapponese
L’inizio del processo di modifica dello status militare giapponese risale al 2005, quando il governo Koizumi propose alcuni emendamenti che avrebbero consentito la creazione di un vero e proprio Ministero della Difesa, in sostituzione dell’Agenzia al tempo operante7. La creazione del suddetto ministero fu poi definitivamente disposta da Shinzo Abe nel 2007, contestualmente alla formazione di un gruppo di esperti, l’Advisory Panel on Reconstruction of the Legal Basis for Security, che avrebbe dovuto valutare l’adeguatezza delle disposizioni costituzionali in materia di sicurezza, di fronte al mutato panorama internazionale. Successivamente alla sua rielezione Abe ha ripreso il progetto con maggior vigore, istituendo a Novembre 2013 il Consiglio di Sicurezza Nazionale (CNS), organo interministeriale presieduto dal capo di Governo e composto da un suo consigliere e dai Ministri degli Esteri e della Difesa. L’istituzione del CNS permette al Primo Ministro di controllare l’azione dei Ministeri che ne fanno parte, raccordando le agende di politica estera e sicurezza. Coerentemente con la linea politica inaugurata con l’istituzione del CNS, alla fine dello scorso anno, Abe ha formulato la nuova Strategia di Sicurezza Nazionale (SSN), da attuare secondo le disposizioni contenute nelle Linee Guida del Programma di Difesa Nazionale (GPDN)8.
Il contenuto dei due documenti predetti identifica le principali minacce che il Giappone deve fronteggiare, definendo gli obiettivi da centrare in materia di sicurezza. La salvaguardia dell’integrità territoriale e la tutela dell’identità e della sovranità sul territorio appaiono questioni centrali, da affrontare sia tramite il rinnovamento militare in atto sia tramite il rafforzamento del proprio sistema di alleanze. Il primo di questi due elementi è secondo Abe funzionale al secondo, poiché permetterebbe alle FAD una partecipazione maggiore ai progetti di collaborazione in materia di sicurezza a cui dovessero prendere parte. In quest’ottica, dallo scorso Dicembre è stato avviato un programma di riorganizzazione militare che prevede, oltre alla redistribuzione geografica del personale, un aumento del 5,5% della spesa militare in un periodo di cinque anni9.
In questo quadro, l’abrogazione del divieto di esportazione di sistemi d’arma giapponesi rappresenterebbe senza dubbio uno stimolo rilevante, consentendo non solo una maggiore partecipazione nipponica a progetti internazionali di sicurezza rafforzando in questo modo il suo sistema di alleanze, ma anche portando le esportazioni del Paese, adombrate dal gigante cinese, verso una nuova crescita. Sarebbe una misura coerente con la c.d. Abenomics, l’insieme di politiche monetarie, fiscali e di crescita implementate a partire dalla primavera 2013 dal governo Abe nel tentativo di risollevare il Giappone dalla crisi economica.
La riforma costituzionale
Il punto di svolta del lungo processo di riorganizzazione militare giapponese è stato raggiunto il 1 Luglio scorso, quando la maggioranza parlamentare ha dato il via libera all’approvazione della modifica dell’articolo 9 della costituzione da parte del Consiglio dei Ministri. Con l’abolizione del secondo comma della norma, le forze armate giapponesi saranno formalmente legittimate a compiere azioni militari anche senza la presenza di una minaccia diretta contro il proprio territorio o in difesa di alleati sotto attacco10.
Per implementare qualsiasi modifica alla Costituzione giapponese è tuttavia previsto un procedimento aggravato che prevede la doppia approvazione da parte di entrambi i rami della Dieta, con una maggioranza di due terzi. Successivamente, la finalizzazione delle modifiche è condizionata ai risultati di un referendum popolare obbligatorio. Per evitare la lunga procedura e non esporsi ad un eccessivo rischio di bocciatura del suo progetto Abe, piuttosto che parlare di “modifica” del testo costituzionale, ha usato il concetto di “reinterpretazione” della Costituzione, che gli permette nei fatti di raggiungere lo stesso obiettivo.
La reinterpretazione costituzionale in parola rappresenta una messa in discussione totale del “pacifismo costituzionale” giapponese, che non solo porterà mutamenti sul piano delle relazioni internazionali in Asia, ma cambierà anche il modo in cui il Giappone e i Giapponesi percepiscono loro stessi. L’articolo 9 ha costituito fino a questo momento la base di un peculiare eccezionalismo, in virtù del quale Tokyo era l’unica al mondo a rinunciare realmente alla guerra. La modifica dell’articolo 9 – che seppur controverso è indubbiamente parte del processo di costruzione dell’identità nazionale nipponica dopo il secondo conflitto mondiale – avrà importanti risvolti culturali non solo a livello di autopercezione del Popolo giapponese ma anche di percezione del Giappone immerso nel contesto internazionale11. Bisogna infatti considerare che il brusco passaggio da un deciso militarismo al pacifismo, avvenuto tramite l’approvazione della Costituzione del 1946, ha creato in parte del Popolo nipponico la tendenza a percepirsi in funzione dell’alleato americano. Questo vale tanto per chi sostiene il valore pacifista dell’articolo 9, leggendo l’eccezionalismo antimilitarista nipponico in chiave positiva, quanto per chi lo ritiene una forzatura, inadatta al carattere nazionale giapponese e quindi per i sostenitori di eventuali riforme che investano il secondo capitolo della Carta.
Per quanto riguarda invece gli oppositori alle suddette riforme, le proposte di modifica del LDP di Abe si scontrano non solo con la disapprovazione del Partito Democratico del Giappone (PDG), che si trova all’opposizione. Come accennato in precedenza, il consenso e il dissenso rispetto alle riforme sono trasversali: sono contrari all’abrogazione del comma 2 dell’art.9 anche alcuni alleati politici del PLD, come il buddista Nuovo Partito Komeito12.
D’altro canto, la “normalizzazione militare” del Giappone è stata un obiettivo condiviso anche da altri esecutivi di diverso orientamento, ad esempio dal governo Noda (PDG) nel 2011. Quest’ultimo tuttavia, a differenza di Shinzo Abe, non mirava tanto ad una “rilettura” della Costituzione, quanto ad un approfondimento della collaborazione con gli USA in vista dell’acquisizione di maggiore autonomia, magari in via informale.
Implicazioni geopolitiche del rilancio militare giapponese
Shinzo Abe ha dato segni inequivocabili della volontà di giocare un ruolo più autonomo nello scacchiere regionale, senza per questo indebolire la partnership con Washington. Il Primo Ministro per esempio ha rotto la tradizione della prima visita all’estero negli Stati Uniti recandosi invece, subito dopo la sua rielezione, in Vietnam, Thailandia e Indonesia. Ha inoltre proposto all’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico) un incremento della cooperazione militare e strategica fra i Paesi dell’area e in particolare con il Giappone. Infine il Presidente ha introdotto l’idea della Security Diamond, che coinvolge Giappone, India, Australia e lo Stato statunitense delle Hawaii, per salvaguardare la sicurezza delle rotte marittime nel Pacifico13.
Questa azione dell’esecutivo di Tokyo risulta pienamente coerente con gli imperativi geopolitici del Giappone, rimasti nella storia più o meno costanti: mantenere un’autorità centralizzata e quindi l’unità interna, esercitare la sovranità sulle proprie isole periferiche ed in conseguenza sui mari circostanti, quindi assicurarsi un certo grado di autonomia esercitando anche un controllo strategico sulla Corea e Taiwan. Sono obiettivi rispetto ai quali il militarismo nipponico è stato in passato funzionale, agendo in concomitanza con il potere commerciale ed economico del Paese del sol levante al fine dell’acquisizione non solo di risorse ma anche di rilievo nel quadro geopolitico asiatico.
Per quanto concerne la modifica della carta costituzionale nipponica, si tratta di un evidente segno della svolta fortemente nazionalistica che Abe sta imprimendo alla sua politica, svolta non priva dell’appoggio dell’amministrazione statunitense. Già dallo scorso Dicembre, Obama sosteneva un ruolo più attivo del Giappone soprattutto nello scacchiere del Pacifico, in primis contro la minaccia cinese. Ad Aprile, durante la sua ultima visita a Tokyo, il Presidente degli Stati Uniti e il Presidente del Giappone hanno discusso proprio di Cina e Corea del Nord. In quella occasione Abe, manifestando la volontà di poter difendere il suo alleato in caso di attacco da parte di Paesi terzi, chiedeva in concreto la possibilità di tutelarsi rispetto alle minacce alle isole contese con Pechino, la quale ha riacceso le storiche contese sulle Takeshima, le Senkaku e le Paracel arrivando all’impianto di una piattaforma petrolifera presso queste ultime, situate nel Mar Cinese Meridionale.
La risposta cinese a quanto emerso dal dialogo Obama-Abe non si è fatta attendere e il 1 Luglio Hong Lei, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha dichiarato che Pechino sollecita il Giappone a “rispettare gli interessi dei suoi vicini sul tema sicurezza”14.
L’accelerazione del programma di rilancio militare giapponese, avvenuta da Novembre in poi, può essere letta anche in relazione all’istituzione da parte della Cina della Air Defence Identification Zone (ADIZ) sulle isole Senkaku/Diaoyu, contese da più di quarant’anni tra Tokyo e Pechino. Sarebbe tuttavia riduttivo interpretare la preoccupazione giapponese come esclusivamente relativa alle dispute territoriali in corso, inserendosi nel panorama più ampio dell’affermazione nel contesto Asia-Pacifico, in particolare dopo che gli Stati Uniti hanno definito l’area come propria priorità strategica.
Per quanto riguarda la minaccia nordcoreana, il timore di Abe non è solo che Kim Jong-un aumenti l’aggressività delle proprie dimostrazioni provocatorie ma è soprattutto relativa all’incertezza riguardo al programma missilistico di Pyongyang, unita alla preoccupazione suscitata dall’interesse nordcoreano sul nucleare.
Critiche significative al programma di rilancio militare giapponese e alla modifica dell’articolo 9 della costituzione sono arrivate a Tokyo anche dalla Corea del Sud, preoccupata dall’eventualità di un revanscismo militarista giapponese. Abe si è impegnato in modo particolare nella distensione dei rapporti con Seoul, poiché il suo appoggio è fondamentale per un’implementazione efficace dei progetti nipponici nell’area. Il Presidente ha tutto l’interesse ad acquietare l’ansia di chi teme l’eventualità di un’eccessiva proattività militarista nipponica nell’area e anche in questa chiave potrebbe essere letto il rafforzamento della partnership con gli Stati Uniti.
La questione nucleare
Sono infine opportune alcune considerazioni riguardo alla questione del nucleare, in particolare perché parte delle preoccupazioni suscitate dalla politica estera e di sicurezza di Abe sono collegate all’accusa di aver nascosto la reale entità dei danni provocati dal disastro di Fukushima15.
Con il combinato disposto dell’art. 9 della costituzione, della Legge Atomica Basilare del 1955 e della Risoluzione dei Tre Princìpi Non Nucleari del 1971, Tokyo ha stabilito di utilizzare l’energia nucleare solo per scopi pacifici. Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, il Giappone ha firmato tutti i più importanti accordi internazionali in tema di disarmo e di lotta alla proliferazione nucleare, soprattutto a causa della sua opinione pubblica segnata non solo dall’attacco atomico che nel 1945 colpì Hiroshima e Nagasaki ma anche dal disastro di Fukushima del 2011. Nonostante ciò, le dinamiche post-bipolari e il confronto con Cina e Corea del Nord hanno riacceso il dibattito sul nucleare, che si è orientato sulla questione della credibilità dell’ombrello atomico americano. Se questa dovesse per qualche ragione calare, a Tokyo potrebbe tornare a galla la questione dell’opportunità di dotarsi o meno di un arsenale nucleare autonomo. Si spiega così la particolare solerzia degli Stati Uniti nel rinnovare periodicamente il proprio impegno a difendere gli interessi nipponici, rimanendo Washington fermamente convinta della necessità di impedire la proliferazione nucleare in Estremo Oriente. Il fine è quello di evitare un accrescimento eccessivo della concorrenza con Cina e Corea del Nord, suscettibile di causare una a dir poco pericolosa escalation di provocazioni nella regione16.
Conclusioni
La riforma costituzionale dell’articolo 9 e il conseguente rilancio del ruolo delle forze armate nipponiche, si inseriscono nel programma di Abe di dare una nuova immagine del Paese come attore nei contesti regionale e globale. Abe punta ad un Giappone alfiere della sicurezza e della stabilità nel Pacifico e nondimeno impegnato in missioni all’estero, partecipe della vita della comunità internazionale anche al di là della propria tradizionale area di influenza. Rilancio militare ed Abenomics si intersecano, configurando una possibilità concreta per l’Occidente di stabilire rapporti più intensi con Tokyo, sfruttando ad esempio le opportunità che un eventuale reinserimento del Giappone nell’industria della Difesa potrebbe offrire. Stabilendo legami più saldi con il governo nipponico, dal punto di vista tanto economico quanto militare, i Paesi occidentali avrebbero più facile accesso al contesto dell’Asia-Pacifico. È un’occasione di stabilire nuove alleanze e rafforzare quelle esistenti che Shinzo Abe non ha intenzione di farsi sfuggire, come testimonia la firma del Individual Partnership and Cooperation Programme (IPCP)17 con la NATO, avvenuta il 6 Maggio. In occasione della stipula della IPCP, il Primo Ministro ha definito il Giappone un “partner naturale” della NATO, che aspira ad offrire un “contributo attivo alla pace”. Abe vuole essere un partner affidabile per l’Alleanza e a dimostrazione di ciò ha proposto la realizzazione di esercitazioni antipirateria congiunte tra NATO e FAD nel golfo di Aden, dichiarandosi anche disponibile a cooperare con l’Alleanza Atlantica al fine di esortare la Russia a svolgere il suo ruolo nel contesto internazionale in modo responsabile18.
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