
Nel Giorno della Memoria mi piace riportare in questo blog la lettura di un articolo della giornalista MANUELA DVIRI, pubblicato sul n.4/2013 di Vanity Fair. C’è in particolare un passo significativo che racchiude in modo originale la grande tragedia che si è consumata nei campi di sterminio nazisti. Dice la Dviri: “Se Hitler avesse vinto non sarei mai nata, non sarebbero nati i miei figli, i miei nipoti. Non ci sarebbe un ebreo al mondo, non un rom, un disabile, un omosessuale, un nero. E il mondo senza ebrei, senza omosessuali, senza disabili e senza rom sembrerebbe ai più del tutto normale.”Ecco la “normalità” della tragedia, l’orrore dell’oblio, l’omologazione della crudeltà. Ma debbo dare torto alla giornalista: se Hitler avesse dato fondo alla sua ferocia senza senso, alla barbarie del razzismo istituzionalizzato, non credo che “dopo” ci sarebbe potuto essere qualcosa di “normale”. Perché dopo gli ebrei, i neri, i rom, gli omosessuali, i disabili sarebbe toccato a qualche altro, magari a chi ha i capelli rossi o un neo in viso o, magari, a chi abita al di là di un certo parallelo o in una certa nazione. La fobia razzista, che non è solo nazismo e fascismo, è un virus latente, sempre pronto ad esplodere. Senza se e senza ma. Soprattutto senza una vera ragione, se non la follia di uno o di molti. Il razzismo è un pregiudizio contro cui l’umanità deve lottare sempre, senza abbassare la guardia. E tenere viva la memoria di tragedie storiche come gli stermini nazisti, serve soprattutto ad instillare negli uomini una sana paura e una costante diffidenza nei confronti di chi si proclama migliore degli altri. Da lì ai reticolati dei lager il passo è incredibilmente e tragicamente breve. By M.






