Boston, 1954. Una nave emerge dalla nebbia. Al suo interno c'è il detective Teddy Daniels, che si guarda allo specchio con un'espressione smarrita e sofferente. Con lui il nuovo partner Chuck. All'orizzonte si staglia minacciosa un'isola. Shutter Island. I due sono stati mandati lì per indagare sulla scomparsa di una pericolosa paziente dell'istituto psichiatrico sito sull'isola. Quando i detective arrivano al cancello dell'istituto, il lungo carrello, accompagnato dalla potente musica di Penderecki, fa pensare a quello di spielberghiana memoria in Jurassic Park: questa volta però i mostri sono dentro di noi e i cancelli non sono quelli del cielo ma dell'abisso. I due infatti capiranno presto che c'è qualcosa di sospetto nell'incarico che è stato loro affidato e che la loro presenza sull'isola non è casuale.
Scorsese torna dietro la macchina da presa con una storia che scava nella mente umana, nelle nostre paure, nei nostri sogni e nelle ferite che li hanno originati. Per farlo, si avvale di uno stile solenne, maestoso, donandoci un illustre esempio di cinema grandioso e totale. La splendida fotografia di Richardson, il montaggio impeccabile della fedele Schoonmaker, le scenografie cupe e suggestive di Ferretti, l'uso geniale delle musiche (su tutte il Quartetto per archi e piano in A minore di Mahler), i riferimenti a Hitchcock, agli espressionisti tedeschi, a Welles, Hawks e al lirismo onirico di Lynch si orchestrano perfettamente con l'inconfondibile maestria di Scorsese formando un insieme che rende il film un'opera sinfonica.
Il protagonista Teddy (un Leonardo Di Caprio immenso, alla sua migliore interpretazione) ha in sé la tragicità degli eroi wagneriani: è un uomo segnato dal passato che sprofonda negli abissi della sua stessa mente, ingannato dai sensi e dai ricordi. Il suo viaggio nelle terre oscure dell'inconscio ci proietta in un mondo in cui il sonno della ragione genera mostri. Vediamo così manifestarsi una lunga serie di simboli: lo specchio, metafora del doppio, l'isola, simbolo perfetto dell'alienazione e della solitudine, il faro, punto di riferimento e chiave per la verità, le scale labirintiche - che ricordano i disegni di Escher - in cui il protagonista, e noi con lui, si perde nella confusione dei ricordi, i topi, a simboleggiare ciò che di oscuro si nasconde strisciando nella nostra mente . E ancora l'acqua e il fuco, che tornano continuamente, a rappresentare il maschile e il femminile, incarnati da Teddy e da sua moglie Dolores, morta diversi anni prima in un incendio. Attraverso queste immagini che rievocano la psicanalisi junghiana, Scorsese analizza ancora una volta il tema che gli sta più a cuore: la violenza. E quale migliore teatro di un manicomio per rappresentarla? Che sia un palcoscenico come in New York New York o un ring come in Toro Scatenato, Scorsese getta al centro di questi luoghi chiusi e competitivi uomini di violenza che subiscono violenza: è infatti la società stessa a indurre comportamenti estremi. La crisi d'identità che avvolge il protagonista, che mostra continuamente il tesserino dell'FBI e cambia abito e divisa più volte a simboleggiare una ricerca disperata di un proprio ruolo nel mondo, é magnificamente espressa dal senso di alienazione che le celle del manicomio suggeriscono. In fondo tra i “matti” e le persone normali c'è poca differenza: i primi rimangono imprigionati dai propri fantasmi, i secondi imprigionano i propri in una stanza oscura della mente. E' quindi dunque meglio vivere da mostro o morire da uomo per bene? L'unica certezza è la tragicità insita nella natura umana.Leonardo DiCaprioLa citazione: "E' meglio vivere da mostro o morire da uomo per bene?"Hearting/Cuorometro:♥♥♥♥♥Titolo originale: Shutter IslandRegia: Martin ScorseseAnno: 2010Cast: Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Max von Sydow, Michelle Williams, Emily Mortimer, Patricia Clarkson, Jackie Earl Haley, Elias Koteas, Ted Levine