vedrai che scopriremo delle altre Americhe io e te
che licenzieranno altra gente dal call center
che ci fregano sempre
che ci fregano sempre
che ci fregano sempre
che ci fregano sempre…
In attesa dalla grande fuga, Vasco Brondi alias Le luci della centrale elettrica ci regala un nuovo album che di base prosegue senza grosse novità il discorso iniziato con il primo fenomenale “Canzoni da spiaggia deturpata”.Un difetto in “Per ora noi la chiameremo felicità” quindi c’è: manca l’effetto sorpresa. Questo disco l’ho ascoltato e me lo ascolterò ancora parecchie volte, però è innegabile che stavolta non ci sia lo sconvolgimento rivoluzionario della prima volta. Un aspetto che era già da mettere in conto, cui sopperisce un’accresciuta capacità di giocare con le parole, raccontare la nostra vita (precaria) e scrivere (quasi)canzoni, a volte persino con (quasi)ritornelli, come nella splendida “Cara catastrofe”, probabilmente il pezzo di maggior impatto del suo intero repertorio. E ne “L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici” affiora una inedita delicatezza “into the wild”.Per il futuro sarebbe interessante vedere evoluzioni sonore, magari con un tocco di elettronica come hanno fatto Il teatro degli orrori collaborando con i Bloody Beetroots e lo stesso Vasco 2.0 afferma di voler provare direzioni diverse, visto che con il nuovo album ha ormai chiuso una trilogia composta dal suo esordio e dal libro “Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero”.
In attesa di rivoluzioni o di una grande fuga, per ora questo disco mi dà la felicità (o quella che chiameremo felicità) con l’ironia nascosta nei suoi testi, mi fa commuovere, mi fa avere gli “occhi lucidi come le Mercedes” e mi fa ridere. Perché il nostro ridere fa male al Presidente.(voto 7/8)