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Si fa presto a dire depressione (Parte II)

Da Psytornello @psytornello

depressione

Nel precedente post abbiamo parlato del depresso radicale. Oggi esploriamo un altro volto della depressione che porta l’individuo a sentirsi deluso di sé.


In questo caso il soggetto non imputa al fato l’origine delle proprie sofferenze ma a se stesso. Solitamente ha avuto prova della propria incapacità attraverso un episodio specifico della propria vita (un lutto, un’occasione persa, un grave imprevisto, una malattia…ma anche una nascita, una convivenza, etc…). Qualunque sia l’evento, l’individuo si accorge di non essersi comportato come avrebbe voluto, di aver commesso degli errori e questo non viene percepito come naturale (visto che gli esseri umani sono imperfetti!) ma come un fatto gravissimo per il quale non può esservi rimedio. L’unico modo per sentirsi degno di stima è agire in maniera ineccepibile ed inappuntabile: non sono previste variazioni sul tema né la possibilità di far tesoro dell’esperienza. Deve sentirsi sempre un vincente, altrimenti dimostra di essere un fallito: non sono ammessi errori, non devono accadere.

Per riassumere, la credenza di base è: se voglio, posso. Con le mie capacità e con spirito di sacrificio posso raggiungere qualunque risultato e superare qualsiasi difficoltà, anche la più insormontabile. Ma questo è un peccato di presunzione…come quello di Achille, che sentendosi invincibile, non aveva schermato l’unica parte vulnerabile del suo corpo, il tallone, e proprio lì era stato colpito.
Così, quando subentrano degli imprevisti e le cose non vanno come dovevano andare, l’individuo assume una posizione di rinuncia, arrendendosi: rimane vittima di se stesso, intrappolato in una profonda sensazione di sconfitta che lo porta inevitabilmente a delegare agli altri. Tra questi “altri” c’è anche lo psicoterapeuta, al quale si chiede di risolvere il problema al posto suo. 

Il soggetto parte dunque dall’idea di essere capace, si scontra poi con gli inevitabili problemi della vita che riducono in frantumi questa credenza: non sono come pensavo di essere! Anziché apprendere dai propri errori per migliorarsi, perde completamente la stima in se stesso e non fa che cercare “prove” della propria incapacità. Questo si traduce in una difficoltà di concentrazione, a causa dei dubbi ricorrenti e dei rimpianti, e nella confusione di non sapere cosa fare. D’altronde, è così elevata la paura di commettere nuovi errori che l’unica soluzione è smettere di agire.  Ma la rinuncia, si sa, è un suicidio quotidiano e l’individuo inevitabilmente amplifica il risentimento e la disistima verso se stesso. Riduce le azioni all’indispensabile e il senso di sconfitta, sempre più pesante, si trasforma in sensazioni fisiche quali stanchezza, fatica perenne, disturbi alimentari…

Come per la fine di una storia d’amore, il soggetto pare aver interrotto la relazione con la parte più profonda di sé dalla quale si sente tradita…

Fonte: Muriana E., Pettenò L., Verbitz T., 2006 - I volti della depressione: curarsi in tempi brevi - Ponte alle Grazie, Milano.


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